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Andrea Musacci
Città “mordiefuggi”: è questo il destino di Ferrara?
Ferrara città metafisica, città della nebbia. Ferraresi pigri cronici, i più provinciali fra i provinciali, chiusi in un’estesa regione nella Regione, tra il mare, il Grande Fiume, la ricca Modena e la capofila Bulåggna. Ferrara, difficile descriverla senza scadere nei luoghi comuni, e senza nemmeno trincerarsi in ovazioni campanilistiche.
Mega concerti opprimenti, invasione di studenti che stravolge la città, gentrification e urbanistica piegata al consumismo: dobbiamo rassegnarci a una Ferrara “città-merce”?
Cercherò, quindi, di proporre un ritratto alternativo, duro perché impastato della tristezza di chi vede, anche nella propria piccola città, i tentacoli di una concezione consumistica e individualista attanagliare luoghi, bellezza, avvenire. Dar vita a un’alternativa di società vuol dire non assecondare chi immagina Ferrara un luna park per fuori sede e turisti (si pensi anche al Listone invaso dai mercatini natalizi per ben 2 mesi, e alle varie iniziative gastronomiche che affollano sempre più le piazze).
Le proteste dei giorni scorsi a Venezia contro l’affitto militarizzato a vantaggio di Bezos&co. vanno lette in questo contesto di resistenza a una visione degli spazi urbani come praterie per i più ricchi: «La qualità della vita urbana, e la città stessa – scriveva David Harvey [1] -, sono diventate una merce riservata a coloro che hanno i soldi, in un mondo in cui il consumismo, il turismo, l’industria della cultura e della conoscenza, nonché il continuo ricorso all’economia dello spettacolo, sono diventati i principali aspetti dell’economia politica urbana (…)». Ferrara non può rassegnarsi a diventare una città preda del turismo da localino mordiefuggi, con prezzi esorbitanti in ogni ambito – dai bar e ristoranti ai negozi di abbigliamento. A maggior ragione in un territorio con sempre più gravi crisi aziendali (Berco, Regal Rexnord, Petrolchimico) e dove ben pochi universitari fuori sede rimangono dopo la laurea.
I MEGA CONCERTI
Terminerà il 12 luglio il mese del Ferrara Summer Festival (FSF), la manifestazione anche quest’anno al centro di numerose proteste, sfociate nel gruppo “Insieme per Piazza Ariostea” promosso da residenti della storica piazza e da simpatizzanti (il gruppo Facebook ad oggi conta quasi 800 aderenti).
Nel novembre 2023 Carla Di Francesco – Presidente regionale FAI e, fra le altre cose, ex Segretario generale del Mibact – in un Convegno svoltosi a Ferrara sul tema “Spazi pubblici, usi privati” [2] spiegava: «Ogni piazza d’Italia ha una sua vocazione, un’anima che va interpretata, una comunità che la sente. Ma ha anche caratteristiche storico-architettoniche e fisiche che in un certo senso dettano le possibilità e le cautele con le quali tutti i fattori, anche immateriali, vanno valutati». Poi si chiedeva: i mega concerti in piazze storiche di Ferrara «contribuiscono alla comprensione dei luoghi, dei monumenti, della storia della città? Aumentano la qualità della vita di chi quotidianamente vive e lavora in città?». Le risposte non possono che essere negative. Ricordiamo il concerto di Springsteen al Parco Urbano e, fino all’anno scorso, il sequestro per 1 mese di buona parte del centro storico per il FSF: uno scempio alla storia, alla bellezza del luogo e di conseguenza alla comunità che quotidianamente la vive e la anima. Scempio causato dalla presunzione di chi pensa che i luoghi storici – lo stesso si dica per piazza Ariostea – non siano davvero tali ma meri spazi scenografici a disposizione del più forte.
Riguardo al tema dei grandi eventi musicali, cito un articolo da poco uscito su Libération [3] di Benjamin Leclercq: (…) «esiste – scrive – un altro modello, più intimista e meno industriale, che sembra immune a questa deriva [dei grandi festival musicali]: quello dei microfestival, che favoriscono l’affermazione artistica e professionale dei giovani e rimettono al centro l’esperienza dello spettatore. (…) Per i microfestival l’obiettivo è di ristabilire il legame tra il pubblico e l’evento, in modo da non essere percepiti come una macchina industriale disumanizzata», permettendo anche «al pubblico di partecipare all’organizzazione». Idee concrete sulle quali riflettere.

STUDENTIFICATION!
A proposito di Ferrara Summer Festival, lo scorso 20 giugno piazza Ariostea ha ospitato “UniFest”, organizzata da College, Madame Butterfly e (ahimè!) UniFe, presentato sul sito ufficiale come «il più grande festival universitario del Paese». Sarà, ma intristisce non solo che UniFe si sia prestata a un evento del genere, ma che fra gli sponsor abbia accettato anche “MercoleGin”, iniziativa ben poco culturale, che – cito dal suo sito – propone di portare «una lunga serie di sbronze in terra emiliana». Sorge allora una domanda: come comunità, agli studenti universitari quale modello di convivialità e di città offriamo? Le uniche proposte sono ludiche e consumistiche (col proliferare di bar, locali e localini di ogni tipo)? Così è un po’ ovunque, di certo non solo a Ferrara, anche se esistono ancora sacche di resistenza: associazioni, istituzioni o parrocchie e movimenti cattolici, oltre a gruppi e movimenti politici che offrono agli studenti un modello alternativo.
Prendiamo allora l’Annuario 2025 del CDS (appena uscito) – e in particolare un articolo del prof. Alfredo Alietti [4] – per delineare innanzitutto il fenomeno della cosiddetta (scusate il brutto termine inglese) studentification: si tratta dello «spostamento di un gran numero di studenti nelle aree residenziali che agisce negativamente sui residenti locali riducendone l’accesso all’alloggio, aumentando i costi degli affitti e, in determinati casi, espellendo dalle zone interessate le famiglie maggiormente vulnerabili». Un fenomeno, quindi, molto simile a quello della gentrification. La ricerca svolta nel 2023 da UDU-SUNIA e CGIL [5] evidenzia per Ferrara un costo medio per una stanza pari a 380 euro. «L’aumento dei canoni di affitto nelle zone centrali e semi-centrali, spesso non regolato da politiche abitative efficaci, ha prodotto una tensione tra chi cerca una casa temporanea e chi abita stabilmente nella stessa zona», scrive Costanza Vespasiano [6]. Ciò che avviene qui e in molte città universitarie italiane è che «interi quartieri si trasformino in spazi esclusivi per fasce mobili e privilegiate della popolazione, a discapito di chi fatica a restare».
IMMAGINARE UN COMUNE DIVERSO
Tutto ciò – come accennato – rientra sotto il grande nome di gentrification: togliere alle comunità i propri luoghi, estromettendo le persone o stravolgendo l’anima dei luoghi stessi. L’hanno studiato soprattutto Henri Lefebvre e David Harvey e l’hanno analizzato anche Michael Hardt e Toni Negri parlando del comune (inteso non come amministrazione, ma come continua produzione creativa e collettiva, né privata né pubblica): la città – scrivevano Hardt e Negri – «più che un ambiente edificato, è un calderone di produzione del comune, che comprende dinamiche culturali, modelli di relazioni sociali, linguaggi innovativi, sensibilità affettive e così via. Un modo per concepire la gentrification è, allora, intenderla come un processo di estrazione del comune incorporato nel territorio urbano (…). I mercati immobiliari, dominati dalla finanza, devono essere intesi come vasti terreni dell’estrazione di valori sociali nei territori urbani e rurali»[7].
Si pensi, al riguardo, anche al deturpamento della zona Santo Stefano di Ferrara: a marzo 2019 (ultimi mesi della Giunta Tagliani) venne inaugurato il Parcheggio Multipiano in Contrada Borgoricco. Un affronto al centro storico, trasformato – nel suo cuore – in raccoglitore di auto, con conseguente congestione di certe vie e aumento dell’inquinamento. Il tutto, per incrementare i consumi in centro. E il vicino Mercato di S. Stefano diventerà l’ennesimo spazio comune assegnato a commercianti privati. Un’alternativa? Trasformare sia il Multipiano sia il Mercato in un grande polo artistico-culturale con sale mostre, sale conferenze (Ferrara non ne ha di ampie in centro), libreria, biblioteca, saletta concerti. Tutto questo discorso sul “diritto alla città negato” pone anche la questione della mancanza di un grande soggetto politico che connetta – a mo’ di rete – tra loro e con le istituzioni, i vari movimenti di protesta e di alternativa (in questi anni, oltre al sopracitato gruppo a difesa di piazza Ariostea, si pensi, ad esempio, a “Save the Park” e al Comitato “Per un giardino verde”). Per immaginare Ferrara come città della cura e dei diritti, non mangificio sempre più lottizzabile e classista. «Il nostro comune – scriveva Toni Negri [8] – non è il nostro fondamento, è la nostra produzione, la nostra invenzione continuamente ricominciata. “Noi”: è il nome di un orizzonte, il nome di un divenire. Il comune ci è davanti, sempre, è un progredire. Noi siamo questo comune: fare, produrre, partecipare, muoversi, dividere, circolare, arricchire, inventare, rilanciare».
[1] D. Harvey, Il diritto alla città, 2008 In Il capitalismo contro il diritto alla città, 2016.
[2] C. Di Francesco, Beni pubblici patrimoniali tra conservazione e gestione, in Spazi pubblici, usi privati. Per una rinnovata tutela dei beni comuni, a cura di Lucia Bonazzi, La Carmelina – Italia Nostra-Sezione di Ferrara, 2025.
[3] B. Leclercq, La misura giusta, tradotto per Internazionale del 20 giugno 2025.
[4] A. Alietti, L’abitare studentesco tra diritto allo studio e la città campus. Riflessioni sul caso ferrarese, in Annuario Socio-Economico Ferrarese 2025. Politiche urbane. Spazio, tempo, territorio, C.D.S. Cultura Edizioni, Ferrara, 2025.
[5] In A. Alietti, idem.
[6] C. Vespasiano, Voci dal quartiere: studenti e residenti a confronto, in Annuario Socio-Economico Ferrarese 2025, idem.
[7] M. Hardt, T. Negri, Assemblea, Ponte alle Grazie, 2018.
[8] T. Negri, Inventare il comune, DeriveApprodi, 2012.
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