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Andrea Pieragnoli
Le vespe, le api e la mobilità alternativa
Dagli insetti si impara molto: la paura, il coraggio, i ruoli, i rapporti. A volte ci interessano, altre volte ci spaventano. Più semplicemente non li conosciamo, come capita anche di noi stessi, ma osservando possono nascere nuovi pensieri, nuove domande, nuove certezze sui cui indagare.
Incontri ravvicinati
Qualche giorno fa sono stato punto da più di una vespa. Non mi ero accorto del loro alveare sopra la panchina dove avevo appoggiato la mia borsa sportiva.
So come comportarmi: scappo. Perché dalle vespe non c’è scampo.
Hanno un brutto carattere: sono irascibili, protettive e reattive. Molto territoriali soprattutto vicino al loro nido, possono attaccare anche se non direttamente minacciate e pungere più volte senza per questo morire. Hanno nidi stagionali caduchi e disordinati, simili a fogli di carta male appallottolati e destinati unicamente alla riproduzione, oserei dire intensiva, della prole, cui non lasciano alcun tipo di eredità.
La loro aggressività è dunque difensiva.
E’ la paura, l’istinto di sopravvivenza, il loro e il mio, che fa fare certe scelte.
Meglio non sfidarle.
Anche con le api so come comportarmi: le lascio fare. Le osservo spesso in campagna entrare e uscire dalle loro arnie. Lavorano instancabilmente per il bene dell’alveare per farne un ambiente perfetto, longevo, duraturo.
Sono generalmente non aggressive e pungono solo come ultima difesa (e muoiono dopo aver punto, per cui il mio e il loro istinto di sopravvivenza scendono a compromessi)
Mostrano organizzazione dei ruoli, memorizzano rotte, fonti di cibo e avvertono le compagne di eventuali pericoli.
Sono resilienti e residenti. Hanno nidi perenni dolci come il miele: si sentono sempre a casa.
A differenza delle vespe le api hanno maturato crediti in architettura per la forma delle cellette del loro nido e crediti sul lavoro per la loro proverbiale laboriosità.
Le vespe, a parte quelle della Piaggio, sono invece famose per la loro aggressività e si sprecano le metafore: “avere la lingua come una vespa” (senza riferimenti al Bruno nazionale), “essere minacciosi come una vespa” ecc ecc.
Anche la parola “sciame” assume un significato diverso: l’ape quando sciama trasferisce la residenza, ed è uno spettacolo vederne il risultato; lo sciame di vespe invece indica un attacco contro qualcuno, ed è meglio non immaginarne il risultato.
Una società da “apizzare”
Nella cultura umana, queste specie sono usate dunque come metafore viventi dei nostri stessi tratti psicologici e sociali: siamo vespe o api in relazione all’adattamento all’ambiente in cui ci troviamo.
Nonostante la vita in comunità sia regolata da ruoli sociali, leggi, compiti, responsabilità e obiettivi condivisi, facciamo fatica a vivere senza “paura” del muoverci e nonostante questo “doverci muovere” ci sia sempre più di impiccio quando è mal progettato e ci rendiamo conto di avere bisogno di una mobilità alternativa. Che può a sua volta far paura … e prendiamo l’auto.
Perché fa paura la mobilità alternativa?
Paura del cambiamento
Le persone sono abituate a spostarsi in auto privata, sinonimo di libertà e controllo. Cambiare abitudini, rinunciare al volante, o dipendere da sistemi pubblici o condivisi può generare ansia.
Incertezza e disinformazione
Non tutti conoscono come funzionano bici elettriche, car sharing, trasporti integrati o piste ciclabili sicure. Dove non c’è chiarezza, nasce la diffidenza.
Paura di perdere status
In alcune culture (e in molte città italiane), l’auto è anche simbolo di prestigio.
Rinunciarvi può essere visto come un “downgrade”, soprattutto per chi ha investito in auto costose:
Il confronto sociale è obbligatorio nei mezzi condivisi.
Insicurezza e Infrastrutture carenti
Spesso le alternative (es. bici o monopattini) non sono percepite come praticabili, soprattutto in città dove mancano piste ciclabili ben progettate o dove il traffico è aggressivo.
Convenienza percepita
L’auto è ancora vista come la soluzione più comoda, anche quando non lo è: il timore di dover “faticare di più” con mezzi pubblici o bici scoraggia molti.
Come si può superare questa paura?
Cominciare per gradi:
Educazione e comunicazione: spiegare i vantaggi reali (salute, tempo, costi, ambiente).
Esperienze positive: far provare, con eventi, incentivi, giornate senza auto e mezzi gratuiti.
Progetti inclusivi:
La mobilità alternativa deve essere pensata non solo per giovani sportivi o cittadini “green” ma per tutti.
Progetti condivisi:
Ogni miglioramento porta a sacrifici transitori che portano a benefici permanenti.
Infrastrutture sicure e ben integrate:
Senza questo, la paura è più che comprensibile.
C’è ancora paura, diffidenza, resistenza. Perché?
Perché cambiare abitudini è difficile.
Perché c’è chi teme di perdere comodità, status o clienti.
Perché ci sono interessi economici legati all’uso dell’auto privata: industrie, carburanti, assicurazioni, parcheggi.
E a volte anche la politica frena per timore di scontentare qualcuno.
Ma il vero coraggio è quello di costruire il futuro, non solo conservare il presente.
La mobilità del futuro non è una minaccia: è una opportunità.
E come tutte le opportunità, fa un po’ paura… prima di diventare normale.
L’accettazione della mobilità alternativa in fondo ci trasforma da vespe in api: una società civile ben organizzata, plurale, partecipata.
E voi, cosa ne pensate? Vi spaventa l’idea di lasciare l’auto in garage ogni tanto?
Scrivetelo nei commenti o raccontateci la vostra esperienza: siamo qui per ascoltarvi.
Molto bella l’ allegoria tra i due tipi di organizzazioni sociali. Peccato che le api siano a rischio estinzione e forse anche questo è un messaggio. Rispetto all’ educazione mi trovo dubbiosa su tempo e costi
I biglietti dei mezzi pubblici autobus e treno non sono tanto convenienti, non collegano tutti i luoghi di pubblica utilità. Andare ad es al nuovo S Anna se non vivi in città vuol dire ipotecare almeno mezza giornata. Per portare le borse pesanti della spesa fino alla fermata dell’ autobus ci vuole un fisico bestiale. Il monopattino alla mia età un suicidio sicuro. Il garage, un lusso! Quindi se mettiamo le mani su tutto questo sono dei vostri, aspetto e partecipo: dell’ alveare sarei un ape operaia , pronta per il benessere di tutta la mia società
Inutile negarlo : il mito di Atlantide è dentro di noi. Qualcosa di ancestrale che ci trascina verso la città perfetta, la patria ideale che vorremmo vedere e vivere e per la quale in fondo siamo qua, con le nostre idee, i nostri sentimenti , le nostre esperienze di cui non possiamo essere unici tutori: andrebbero perse! Alle vespe in fondo, come ha potuto leggere , basta mangiare , bere e riprodursi. Alle api no: depositano miele per le generazioni presenti e future. Ragionano in prospettiva: quella prospettiva che a Ferrara sembra bloccata da anni, mai adeguata alla tipologia di persone che la abita e che cambia. A questa tendenza si può reagire con una politica gentile fatta di condivisione, che vuol dire comprensione dei problemi e capacità di risolverli assieme. Non si riuscirà ad ottenere tutto e subito, ma tante soluzioni già adottate in altre città, più grandi e più piccole della nostra, sono logiche e adottabili. Il nostro impegno è di studiarle e condividerle con chi ci segue, perché è da queste persone, come Lei, Giovanna, che vengono gli stimoli migliori e soprattutto la forza di correggersi e di voler cambiare, per alleggerirLe il peso della quotidianità, per una qualità di vita migliore per tutti, nostra priorità.
E poi… se facciamo qualcosa per le api , la facciamo anche per noi.
Grazie del bel commento!
Andrea