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La Comune di Ferrara | Femminile, Plurale, Partecipata

Autore: Rodolfo Baraldini

Dove comincia il mare

Dove comincia il mare si misurano i confini, crescono le speranze, si fermano le illusioni.
È lì, nel fragile equilibrio tra terra e acqua, che si svela il senso della nostra responsabilità.

Durante un viaggio di ritorno dall’Olanda verso Volano — dove pratico windsurf — mi posi una domanda semplice quanto fondamentale: se la terra dei tulipani esiste, è perché quel popolo ha compreso il problema e ha scelto di intervenire tempestivamente. Oggi, in anticipo su molte altre nazioni, stanno già progettando soluzioni per far fronte agli effetti del cambiamento climatico.

In Italia, al contrario, osserviamo fenomeni inarrestabili: le coste vengono erose e contemporaneamente la subsidenza per estrazione di gas metano e il compattamento del terreno torboso agiscono abbassandole.

È una questione di equilibrio. L’acqua riprende i suoi spazi. Il vuoto chiama il pieno.

Ma non è il sale della vita.

È un equilibrio che funziona a senso unico: dove una volta l’acqua arrivava dal monte ora arriva dal mare, si incunea, ricopre, impregna e si nasconde, non risale più dal tronco alle chiome dei peschi, perché li uccide prima, lavora sotto le loro radici, bruciandole.

E con esse tutto ciò che cerca di nutrirsi e dissetarsi dal terreno: le piante lungo i fossi, l’erba, le tradizioni.

Ciò che è perso non si ritrova, quello che si è tolto non può essere reimmesso: il pieno che lascia il vuoto.

La rassegnazione dell’uomo abbandona le terre mentre l’ingegno porta nuova economia, nuovo sapere.

L’itticultura, per esempio.

Più trascorre il tempo più il cuneo salino spinto dall’innalzamento del livello del mare e dalla riduzione dei deflussi fluviali, si infiltra nelle vene della terra. Con esso anche i veleni, perché non è solo il cuneo salino che divora la vita, ma anche gli inquinanti improvvidamente versati dalle attività umane, come il PFAS, per esempio, contenuto anche nei diserbanti usati in agricoltura e nelle attività civili di eliminazione delle erbe spontanee .

Serve un cambiamento di paradigma, modo di vedere, cultura della terra che progredisce sinergicamente con quella dell’acqua. Un nuovo approccio culturale in cui l’equilibrio tra terra e acqua non sia più gestito in chiave emergenziale, ma strutturale e sistemica.

Noi, che abbiamo i piedi nell’Adriatico, dobbiamo chiederci dove comincia effettivamente il mare: dal bagnasciuga? O più dentro, dalla terra che accoglie le due acque? O addirittura ancora più lontano, dalle sorgenti che lo nutrono?

Forse si , è ora di metterci sul bagnasciuga con le dita dei piedi infilate nella sabbia, bagnate dall’onda che viene e che va, per voltarci indietro, verso ovest, verso i monti, dove tutto origina limpido e man mano raccoglie lo sporco dei nostri pensieri, mai abbastanza depurati, sempre più appesantiti dalla fatica di non saper scegliere, arresi alla rassegnazione che qualsiasi cosa si faccia a poco o a nulla servirebbe, increduli che esista una risposta.

Eppure, la risposta esiste. L’ho incontrata per caso, camminando per le strade di La Rochelle, in Francia, impressa su una semplice borchia di ottone posta accanto a un tombino, a pochi metri dal mare. Recava la scritta: “Ne rien jeter, ne rien vider. La mer commence ici.”

IL MARE COMINCIA QUI – non buttarci nulla – non vuotarci nulla

In un primo momento mi è sembrata quasi una citazione poetica di ciò che accade a Venezia con l’acqua alta, quando il mare rigurgita in piazza San Marco e i turisti divertiti prima ci si specchiano e poi ci camminano dentro. Il mare madre e inizio di tutte le cose.

Poi ho trovato la stessa scritta, sempre posizionata vicino ad un tombino, a Digione… ma come? A Digione? A più di 500 km dalla costa atlantica e a oltre 300 da quella mediterranea? E non sullo stesso bacino idrico ? Non si trattava più di suggestione: era un sistema. Un modello educativo.

E allora la mente unisce i punti geografici e i pensieri: il mare comincia dove l’acqua sorge e poi scorre e poi si allarga e poi ci avvolge e ci nutre amnioticamente.

Ogni goccia di acqua che cade diventa inizio del mare.

Si uniscono punti e pensieri passando per Parigi, dove la Senna è stata resa balneabile anche grazie a un cambiamento culturale profondo. Non solo interventi infrastrutturali, ma una presa di coscienza collettiva, un’educazione ambientale diffusa, promossa anche con strumenti semplici, visibili, comprensibili: come quelle borchie sui tombini. Messaggi chiari, accessibili a tutti, economicamente sostenibili, ma dal forte impatto simbolico e civile.

QUI COMINCIA IL MARE- Digione – Non gettarci nulla

Non servono nuove leggi, servono nuove mentalità. Una filiera virtuosa che parta dalla montagna e arrivi al mare, superando i confini amministrativi e politici. Una rete di “siti Amici del mare”, di territori che si riconoscono parte di un bene comune, che condividono pratiche corrette e che si impegnano — al di là delle scadenze elettorali — per un futuro sostenibile. Solo allora, forse, potremo affermare che anche da noi il mare arriva in Darsena, consapevoli che non nasce qui, ma molto più a monte.

Ferrara sempre più calda: lo dicono 40 anni di dati

Nei giorni scorsi mi sono imbattuto in un post interessante di  Donata Columbro e Roberta Cavaglià che parlava di “caldo” e “dati”.

Dato che sono un citizen scientist curioso e mi piacciono i dati, ho deciso di fare una prova anch’io, mettendo le mani nei dati climatici di Ferrara.

Ecco cosa ho scoperto, spiegato in modo semplice e per tutti.

Come ho fatto l’analisi?

Sono andato sul portale SCIA di ISPRA, sezione “Serie temporali” e:

ho scaricato i dati giornalieri di Temperatura massima (Tmax) e Temperatura minima (Tmin) dal 1986 al 2023 per la stazione “Ferrara urbano” (centro città)
ho convertito i dati in formato XLS e filtrato solo quelli di giugno
ho calcolato le medie mensili di Tmax e Tmin per ogni anno
ho contato il numero di giorni con Tmax maggiore di 30°C e quelli con Tmin maggiore di 20°C

Nota: I dati storici sul portale SCIA di ISPRA arrivano solo fino al 2023; per il 2024 e 2025 ho scairicato i dati dal portale Dext3er di ARPAE selezionando le variabili:

Temperatura dell’aria minima giornaliera a 2 m dal suolo (Tmin)
Temperatura dell’aria massima giornaliera a 2 m dal suolo (Tmax)

Cosa dicono i dati?

Dopo pochi minuti e usando un semplice foglio i calcolo (Excel), ho finalmente visto le “dimensioni” dell’elefante nella stanza: negli ultimi 40 anni (dal 1986 al 2025) i valori medi mensili registrati a Ferrara nel mese di giugno – sia per le temperature massime, sia per le minime – sono cresciuti… e molto:

Temperature massime (Tmax)

Negli ultimi 40 anni, la media delle temperature massime dei giorni di giugno è aumentata di oltre 6 gradi.

Anche il numero di giorni con Tmax sopra i 30°C è cresciuto, con picchi notevoli negli anni 2003, 2012, 2017, 2019, 2022 e 2025. Giugno, che una volta era caldo ma sopportabile, ora regala sempre più spesso giornate “bollenti”.

Temperature minime (Tmin) e “notti tropicali”

Anche le temperature minime sono salite: circa 5 gradi in più in media. Sono aumentate le cosiddette “notti tropicali”, cioè quelle in cui la temperatura non scende mai sotto i 20°C. Nel 2003 ci sono state 19 notti tropicali a giugno, nel 2025 addirittura 22: dormire senza sudare è sempre più difficile!

Tmax in gradi

La Tmax è cresciuta di oltre 6 gradi (linea di tendenza in rosso tratteggiato)

Tmax in giornate

Progressivamente è aumentato il numero di giornate con temperatura massima oltre i 30 °C (in blu scuro, gli anni di picco)

Tmin in gradi

Per le temperature minime si è registrato un aumento di circa 5 gradi

Tmin e notti tropicali

E’ anche aumentato il numero di notti tropicali (notti con temperatura sempre oltre i 20 °C), in particolare nel 2003 (19 notti tropicali) e nel 2025 (addirittura 22)

Per chi vuole approfondire…

Insomma, non c’è più il giugno di una volta (ma la stessa cosa si può dire anche di luglio e agosto): il caldo si fa sentire di giorno e di notte, con ondate di calore che ormai sono più frequenti di un caffè al bar e notti tropicali che ci fanno sudare sempre di più, come riportato anche nelle proiezioni climatiche di ARPAE  al 2050:


Un suggerimento: se vogliamo capire davvero cosa sta succedendo, dobbiamo diventare un po’ tutti dei citizen scientist: raccogliere dati dal basso, scaricare e usare quelli ufficiali di ARPAE, ISPRA e altri enti, imparare a “giocarci” un po’, monitorare il nostro clima locale e farci un’idea con i nostri occhi.

È più facile di quanto sembri, può anche essere divertente e soprattutto è il modo migliore per non farci prendere alla sprovvista dal prossimo “forno estivo” … e dalle fake news e negazionismi vari!

Città “mordiefuggi”: è questo il destino di Ferrara?

Ferrara città metafisica, città della nebbia. Ferraresi pigri cronici, i più provinciali fra i provinciali, chiusi in un’estesa regione nella Regione, tra il mare, il Grande Fiume, la ricca Modena e la capofila Bulåggna. Ferrara, difficile descriverla senza scadere nei luoghi comuni, e senza nemmeno trincerarsi in ovazioni campanilistiche.

Mega concerti opprimenti, invasione di studenti che stravolge la città, gentrification e urbanistica piegata al consumismo: dobbiamo rassegnarci a una Ferrara “città-merce”?

Cercherò, quindi, di proporre un ritratto alternativo, duro perché impastato della tristezza di chi vede, anche nella propria piccola città, i tentacoli di una concezione consumistica e individualista attanagliare luoghi, bellezza, avvenire. Dar vita a un’alternativa di società vuol dire non assecondare chi immagina Ferrara un luna park per fuori sede e turisti (si pensi anche al Listone invaso dai mercatini natalizi per ben 2 mesi, e alle varie iniziative gastronomiche che affollano sempre più le piazze).

Le proteste dei giorni scorsi a Venezia contro l’affitto militarizzato a vantaggio di Bezos&co. vanno lette in questo contesto di resistenza a una visione degli spazi urbani come praterie per i più ricchi: «La qualità della vita urbana, e la città stessa – scriveva David Harvey [1] -, sono diventate una merce riservata a coloro che hanno i soldi, in un mondo in cui il consumismo, il turismo, l’industria della cultura e della conoscenza, nonché il continuo ricorso all’economia dello spettacolo, sono diventati i principali aspetti dell’economia politica urbana (…)». Ferrara non può rassegnarsi a diventare una città preda del turismo da localino mordiefuggi, con prezzi esorbitanti in ogni ambito – dai bar e ristoranti ai negozi di abbigliamento. A maggior ragione in un territorio con sempre più gravi crisi aziendali (Berco, Regal Rexnord, Petrolchimico) e dove ben pochi universitari fuori sede rimangono dopo la laurea.

I MEGA CONCERTI

Terminerà il 12 luglio il mese del Ferrara Summer Festival (FSF), la manifestazione anche quest’anno al centro di numerose proteste, sfociate nel gruppo “Insieme per Piazza Ariostea” promosso da residenti della storica piazza e da simpatizzanti (il gruppo Facebook ad oggi conta quasi 800 aderenti).

Nel novembre 2023 Carla Di Francesco – Presidente regionale FAI e, fra le altre cose, ex Segretario generale del Mibact – in un Convegno svoltosi a Ferrara sul tema “Spazi pubblici, usi privati” [2] spiegava: «Ogni piazza d’Italia ha una sua vocazione, un’anima che va interpretata, una comunità che la sente. Ma ha anche caratteristiche storico-architettoniche e fisiche che in un certo senso dettano le possibilità e le cautele con le quali tutti i fattori, anche immateriali, vanno valutati». Poi si chiedeva: i mega concerti in piazze storiche di Ferrara «contribuiscono alla comprensione dei luoghi, dei monumenti, della storia della città? Aumentano la qualità della vita di chi quotidianamente vive e lavora in città?». Le risposte non possono che essere negative. Ricordiamo il concerto di Springsteen al Parco Urbano e, fino all’anno scorso, il sequestro per 1 mese di buona parte del centro storico per il FSF: uno scempio alla storia, alla bellezza del luogo e di conseguenza alla comunità che quotidianamente la vive e la anima. Scempio causato dalla presunzione di chi pensa che i luoghi storici – lo stesso si dica per piazza Ariostea – non siano davvero tali ma meri spazi scenografici a disposizione del più forte.

Riguardo al tema dei grandi eventi musicali, cito un articolo da poco uscito su Libération [3] di Benjamin Leclercq: (…) «esiste – scrive – un altro modello, più intimista e meno industriale, che sembra immune a questa deriva [dei grandi festival musicali]: quello dei microfestival, che favoriscono l’affermazione artistica e professionale dei giovani e rimettono al centro l’esperienza dello spettatore. (…) Per i microfestival l’obiettivo è di ristabilire il legame tra il pubblico e l’evento, in modo da non essere percepiti come una macchina industriale disumanizzata», permettendo anche «al pubblico di partecipare all’organizzazione». Idee concrete sulle quali riflettere.

 

STUDENTIFICATION!

A proposito di Ferrara Summer Festival, lo scorso 20 giugno piazza Ariostea ha ospitato “UniFest”, organizzata da College, Madame Butterfly e (ahimè!) UniFe, presentato sul sito ufficiale come «il più grande festival universitario del Paese». Sarà, ma intristisce non solo che UniFe si sia prestata a un evento del genere, ma che fra gli sponsor abbia accettato anche “MercoleGin”, iniziativa ben poco culturale, che – cito dal suo sito – propone di portare «una lunga serie di sbronze in terra emiliana». Sorge allora una domanda: come comunità, agli studenti universitari quale modello di convivialità e di città offriamo? Le uniche proposte sono ludiche e consumistiche (col proliferare di bar, locali e localini di ogni tipo)? Così è un po’ ovunque, di certo non solo a Ferrara, anche se esistono ancora sacche di resistenza: associazioni, istituzioni o parrocchie e movimenti cattolici, oltre a gruppi e movimenti politici che offrono agli studenti un modello alternativo.

Prendiamo allora l’Annuario 2025 del CDS (appena uscito) – e in particolare un articolo del prof. Alfredo Alietti [4] – per delineare innanzitutto il fenomeno della cosiddetta (scusate il brutto termine inglese) studentification: si tratta dello «spostamento di un gran numero di studenti nelle aree residenziali che agisce negativamente sui residenti locali riducendone l’accesso all’alloggio, aumentando i costi degli affitti e, in determinati casi, espellendo dalle zone interessate le famiglie maggiormente vulnerabili». Un fenomeno, quindi, molto simile a quello della gentrification. La ricerca svolta nel 2023 da UDU-SUNIA e CGIL [5] evidenzia per Ferrara un costo medio per una stanza pari a 380 euro. «L’aumento dei canoni di affitto nelle zone centrali e semi-centrali, spesso non regolato da politiche abitative efficaci, ha prodotto una tensione tra chi cerca una casa temporanea e chi abita stabilmente nella stessa zona», scrive Costanza Vespasiano [6]. Ciò che avviene qui e in molte città universitarie italiane è che «interi quartieri si trasformino in spazi esclusivi per fasce mobili e privilegiate della popolazione, a discapito di chi fatica a restare».

IMMAGINARE UN COMUNE DIVERSO

Tutto ciò – come accennato – rientra sotto il grande nome di gentrification: togliere alle comunità i propri luoghi, estromettendo le persone o stravolgendo l’anima dei luoghi stessi. L’hanno studiato soprattutto Henri Lefebvre e David Harvey e l’hanno analizzato anche Michael Hardt e Toni Negri parlando del comune (inteso non come amministrazione, ma come continua produzione creativa e collettiva, né privata né pubblica): la città – scrivevano Hardt e Negri – «più che un ambiente edificato, è un calderone di produzione del comune, che comprende dinamiche culturali, modelli di relazioni sociali, linguaggi innovativi, sensibilità affettive e così via. Un modo per concepire la gentrification è, allora, intenderla come un processo di estrazione del comune incorporato nel territorio urbano (…). I mercati immobiliari, dominati dalla finanza, devono essere intesi come vasti terreni dell’estrazione di valori sociali nei territori urbani e rurali»[7].

Si pensi, al riguardo, anche al deturpamento della zona Santo Stefano di Ferrara: a marzo 2019 (ultimi mesi della Giunta Tagliani) venne inaugurato il Parcheggio Multipiano in Contrada Borgoricco. Un affronto al centro storico, trasformato – nel suo cuore – in raccoglitore di auto, con conseguente congestione di certe vie e aumento dell’inquinamento. Il tutto, per incrementare i consumi in centro. E il vicino Mercato di S. Stefano diventerà l’ennesimo spazio comune assegnato a commercianti privati. Un’alternativa? Trasformare sia il Multipiano sia il Mercato in un grande polo artistico-culturale con sale mostre, sale conferenze (Ferrara non ne ha di ampie in centro), libreria, biblioteca, saletta concerti. Tutto questo discorso sul “diritto alla città negato” pone anche la questione della mancanza di un grande soggetto politico che connetta – a mo’ di rete – tra loro e con le istituzioni, i vari movimenti di protesta e di alternativa (in questi anni, oltre al sopracitato gruppo a difesa di piazza Ariostea, si pensi, ad esempio, a “Save the Park” e al Comitato “Per un giardino verde”). Per immaginare Ferrara come città della cura e dei diritti, non mangificio sempre più lottizzabile e classista. «Il nostro comune – scriveva Toni Negri [8] – non è il nostro fondamento, è la nostra produzione, la nostra invenzione continuamente ricominciata. “Noi”: è il nome di un orizzonte, il nome di un divenire. Il comune ci è davanti, sempre, è un progredire. Noi siamo questo comune: fare, produrre, partecipare, muoversi, dividere, circolare, arricchire, inventare, rilanciare».


[1] D. Harvey, Il diritto alla città, 2008 In Il capitalismo contro il diritto alla città, 2016.

[2] C. Di Francesco, Beni pubblici patrimoniali tra conservazione e gestione, in Spazi pubblici, usi privati. Per una rinnovata tutela dei beni comuni, a cura di Lucia Bonazzi, La Carmelina – Italia Nostra-Sezione di Ferrara, 2025.

[3] B. Leclercq, La misura giusta, tradotto per Internazionale del 20 giugno 2025.

[4] A. Alietti, L’abitare studentesco tra diritto allo studio e la città campus. Riflessioni sul caso ferrarese, in Annuario Socio-Economico Ferrarese 2025. Politiche urbane. Spazio, tempo, territorio, C.D.S. Cultura Edizioni, Ferrara, 2025.

[5] In A. Alietti, idem.

[6] C. Vespasiano, Voci dal quartiere: studenti e residenti a confronto, in Annuario Socio-Economico Ferrarese 2025, idem.

[7] M. Hardt, T. Negri, Assemblea, Ponte alle Grazie, 2018.

[8] T. Negri, Inventare il comune, DeriveApprodi, 2012.

Detenuta trans violentata. Zonari: “Il Comune doveva vigilare”

La risposta dell’assessore Coletti non convince la consigliera de La Comune, che denuncia le gravi omissioni: “Nella sezione protetti anche autori di violenze sessuali”

“Non sono soddisfatta. Raccontare i fatti dopo che sono accaduti non basta. E’ compito del Comune monitorare e vigilare sulle condizioni all’interno delle carceri”. Con queste parole la consigliera Anna Zonari (La Comune di Ferrara) ha chiuso, visibilmente contrariata, il suo intervento durante il question time del Consiglio comunale del 7 luglio, riaccendendo i riflettori sulla grave violenza sessuale subita da una donna transgender detenuta nel carcere dell’Arginone.

La vicenda, riportata nei giorni scorsi dalla stampa, è finita al centro del dibattito consiliare grazie all’interrogazione presentata da Zonari, che ha chiesto alla giunta se il Comune fosse a conoscenza dei fatti e se intenda attivarsi formalmente presso Ministero della Giustizia, Regione Emilia-Romagna e Provveditorato dell’Amministrazione penitenziaria per chiedere accertamenti e garanzie per le persone transgender detenute.

La risposta dell’assessore Cristina Coletti, secondo cui l’episodio è già stato trasmesso alla Procura e la detenuta si trovava nella “sezione protetti” su disposizione degli organi competenti, non ha convinto la consigliera, che ha giudicato l’intervento insufficiente e privo di un reale impegno istituzionale.

“Nella sezione protetti ci sono anche autori di violenze sessuali. Collocarvi una donna transgender già minacciata è un errore grave”, ha aggiunto Zonari, evidenziando la mancanza di una sezione dedicata a Ferrara, ad oggi presente solo nel carcere di Reggio Emilia, e chiedendo una presa di posizione chiara da parte del Comune.

La consigliera ha poi denunciato l’assenza di un monitoraggio attivo da parte dell’amministrazione comunale: “Quella persona aveva già espresso le sue paure, chiedeva protezione. È stata ignorata. E questo è un fallimento anche delle istituzioni locali”.

Dalla giunta, per ora, nessun annuncio su nuove iniziative. Ma l’intervento di Zonari ha riportato al centro dell’aula consiliare una questione delicata, che solleva interrogativi profondi sul ruolo delle istituzioni nel garantire la sicurezza e la dignità delle persone più vulnerabili, anche, e soprattutto, dietro le sbarre.

Sul fatto è intervenuto con una interrogazione parlamentare rivolta al Ministro della giustizia il deputato di Azione Fabrizio Benzoni per dire che “la vicenda solleva gravi interrogativi circa l’adeguatezza delle misure di protezione adottate nei confronti delle persone detenute in condizioni di particolare fragilità, nonché sulla gestione del regime detentivo dei circa 80 soggetti transgender ristretti all’interno degli istituti di pena italiani, ancora destinatari di atteggiamenti discriminatori e considerati un’«eccezione» del sistema”.

Benzoni chiede al governo “quali iniziative, per quanto di competenza, intenda realizzare per rafforzare le misure di protezione delle persone transgender detenute, in particolare garantendo l’attivazione di sezioni adeguate, la formazione del personale penitenziario e l’applicazione di protocolli specifici per la valutazione del rischio individuale, anche valutando la promozione di una ricognizione a livello nazionale delle condizioni detentive delle persone transgender e la conseguente riorganizzazione degli spazi detentivi per assicurare il rispetto dei diritti umani e della dignità personale, nel rispetto del principio di individualizzazione del trattamento penitenziario”.

Presentazione e intervento su OdG Condanna genocidio in Palestina del 7-7-2025

Presentazione

Intervento

Testo

LA COMUNE DI FERRARA CONDANNA LE VIOLAZIONI DEL DIRITTO
INTERNAZIONALE DA PARTE DELLO STATO DI ISRAELE
Condannare le azioni dello Stato di Israele non significa essere antisemiti.
L’antisemitismo, cioè l’odio verso le persone ebree in quanto tali, è un crimine da
combattere con assoluta fermezza ovunque si manifesti. Ma criticare le politiche di
un governo, o denunciare le violazioni del diritto internazionale compiute da uno
Stato, non equivale ad alimentare odio etnico o religioso.
Equiparare l’antisionismo o la condanna dell’occupazione israeliana
all’antisemitismo è una distorsione pericolosa e spesso strumentale, che finisce per
svuotare entrambi i concetti del loro significato reale.
Non tutte le persone ebree si riconoscono nel sionismo. Anzi, molti ebrei nel
mondo, in Israele e nella diaspora, sono in prima linea nel denunciare le violazioni
commesse contro il popolo palestinese.
Confondere questi piani non solo ostacola il dibattito, ma impedisce anche di
affrontare seriamente sia l’antisemitismo che la giustizia per la Palestina.
Chi difende i diritti del popolo palestinese oggi in questa aula, come in molte piazze
di tutto il mondo, come il prossimo mercoledì alle 21.00 in piazza della Cattedrale,
lo fa nel nome della dignità umana e a difesa del diritto internazionale.
Le voci critiche che si levano da mesi sono anche quelle di tante e tanti ebrei,
dentro e fuori Israele: Breaking the Silence, Jewish Voice for Peace, IfNotNow,
Independent Jewish Voices, Neturei Karta, Jewish Anti-Zionist Network,
Diaspora Alliance, Jewish Currents rappresentano una parte viva e crescente
della comunità ebraica internazionale che si oppone apertamente al sionismo,
all’occupazione e al genocidio in corso a Gaza.
A Gaza assistiamo a un’operazione sistematica di annientamento. La relatrice
ONU Francesca Albanese ha parlato di “una delle campagne genocidarie più
cruente della storia moderna”. Amnesty International denuncia l’uso della fame
come arma: centinaia di camion carichi di beni essenziali sono bloccati da mesi
ai valichi, mentre solo pochi convogli, autorizzati da Israele, riescono a entrare,
portando razioni insufficienti anche solo alla sopravvivenza.
A questa barbarie si aggiunge la distruzione sistematica del sistema sanitario.
Ospedali bombardati, reparti pediatrici sotto assedio, incubatrici spente per
mancanza di elettricità. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha definito
l’ospedale Nasser “una gigantesca sala traumi”. Più di 700 operatori sanitari
sono stati uccisi, e molte strutture non sono più operative. A Rafah, medici e
paramedici sono stati sepolti in fosse comuni.
Mi chiedo spesso quali fonti informative leggano coloro che difendono
acriticamente lo Stato di Israele, ignorando testimonianze dirette, organizzazioni
internazionali indipendenti per i diritti umani come Human Rights Watch, Medici
Senza Frontiere, la Croce Rossa Internazionale, Save the Children, la

Federazione Internazionale per i Diritti Umani (FIDH) .. Non si tratta di opinioni,
ma di prove, rapporti, testimonianze dirette raccolte sul campo da osservatori
indipendenti e credibili. Ignorarle, oggi, significa voltarsi da un’altra parte e, di
fatto, essere complici.
Secondo un’inchiesta del noto quotidiano israeliano Haaretz, che ha raccolto
testimonianze dirette di generali e riservisti, i soldati e gli ufficiali delle Forze
di Difesa Israeliane hanno ricevuto ordini di sparare su civili disarmati in
attesa degli aiuti, provocando 549 morti e oltre 4.000 feriti in un solo mese. I
testimoni parlano di un “campo di sterminio” creato ad arte, dove si spara persino
prima che i convogli vengano aperti.
A questo si aggiungono altre rivelazioni di Haaretz, secondo cui alcuni soldati
ammettono di aver praticato veri e propri “tiri al bersaglio” su civili, colpiti
intenzionalmente un giorno tutti alle gambe, un altro giorno tutti alla schiena, un
altro ancora colpiti a collo e testa. Tiri al bersaglio, come fosse un gioco, senza più
una traccia di umanità… Queste testimonianze, raccolte anche da Breaking the
Silence, un’organizzazione israeliana fondata da ex soldati dell’esercito
israeliano, coincidono con i racconti dei medici che operano negli ospedali
sotto assedio.
Capiamo di trovarci di fronte a qualcosa di abominevole? Di innominabile?
Ignorare queste fonti equivale a censurare la realtà, ostacolare ogni confronto
pubblico e alimentare l’impunità.
Prima di concludere, ancora una domanda, forse la più scomoda e scabrosa
per chi, come noi, abita in Europa dove le democrazie sono nate sulla base
del diritto e del diritto internazionale: Perché i governi occidentali tacciono?
Le ragioni sono molteplici, e tristemente note:
– Complicità strategica: Israele è alleato militare e tecnologico di molti paesi
NATO, con una delle industrie belliche più potenti al mondo;
– Il peso delle lobby: in diversi Stati, la pressione di gruppi economici organizzati
impedisce critiche aperte al governo israeliano;
– Il trauma dell’Olocausto …. ma la memoria non può giustificare nuovi orrori,
anzi, al contrario dovrebbe servire a che non accadano più.
Ferrara, come comunità e come istituzione, deve far sentire la propria voce.
Restare in silenzio, oggi, non è neutralità. È complicità.

Venti alberi a rischio sui Rampari, La Comune attacca

Anna Zonari annuncia accesso agli atti e critica l’Amministrazione: “Tagliare alberi in città senza una visione chiara e risorse stabili è un grave errore strategico”

L’imminente abbattimento di una ventina di alberi maturi lungo i Rampari di San Rocco, a Ferrara, solleva una nuova polemica sulla gestione del verde urbano. A intervenire con una dura nota è Anna Zonari, consigliera comunale del gruppo La Comune di Ferrara, che denuncia la “!mancanza di programmazione, trasparenza e coinvolgimento della cittadinanza in decisioni ambientali strategiche”.

L’intervento è stato motivato da un generico “accertato rischio stabilità” e “rischio caduta”, che ha già comportato la chiusura della pista ciclopedonale e dei parcheggi nei pressi della cittadella di San Rocco. Ma la consigliera chiede chiarezza: “L’entità e la dimensione degli alberi coinvolti – alcuni con un diametro di quasi 60 cm – rendono indispensabile una chiarificazione dettagliata”.

Per questo, Zonari ha annunciato che lunedì presenterà una richiesta di accesso agli atti, chiedendo conto delle perizie tecniche, degli eventuali interventi di prevenzione messi in atto negli ultimi anni e se siano state considerate alternative all’abbattimento.

“Che idea di città abbiamo, se non interveniamo per tempo su 20 alberi maturi in un’area storica e strategica, in piena crisi climatica?”, si domanda la consigliera, sottolineando come l’eliminazione di alberi in contesti urbani non sia un tema secondario, ma una questione ambientale strutturale. In un mese di giugno definito da Arpae come “anomalia fuori scala” per le sue temperature estreme, la scelta di tagliare alberi senza un progetto condiviso appare, per La Comune, inaccettabile.

“Gli alberi non sono semplici ‘arredi urbani’, bensì infrastrutture ecologiche essenziali”, sottolinea Zonari, ricordando i benefici che essi apportano: ombra, raffrescamento naturale, assorbimento della CO₂, contenimento delle polveri sottili e contributo alla biodiversità.

La critica si allarga poi alla gestione generale del verde cittadino. “Da mesi denunciamo la mancanza di un Piano del Verde e della Biodiversità”, strumento previsto per i Comuni sopra i 15.000 abitanti. Inoltre, viene segnalato il drastico calo di fondi previsti nel bilancio comunale: “A marzo abbiamo contestato come nelle previsioni di spesa per interventi straordinari per il verde pubblico si fosse passati dai 1.427.061 euro del 2024 a 0 euro nel 2025”. Solo una recente variazione di bilancio ha reintegrato parzialmente le risorse, ma secondo Zonari “sono segnali che creano dubbi sulla capacità di gestire questa complessità ambientale, vegetale e patrimoniale”.

Il riferimento va anche ad altri interventi urbanistici contestati, come la nuova piazza ai Rampari di San Paolo, che per La Comune rappresenta l’esempio di una visione urbanistica “discutibile”.

“È tempo che l’amministrazione riconosca il valore inestimabile del nostro patrimonio verde”, conclude Zonari, chiedendo una “programmazione partecipativa e trasparente che coinvolga la comunità nelle decisioni cruciali riguardanti il verde urbano”. Solo così, per La Comune, si potrà costruire una città resiliente e sostenibile, all’altezza delle sfide ambientali del presente.

Venti alberi a rischio: “No all’abbattimento”. Ma il Comune precisa: “Possono crollare”

Rampari di San Rocco, la consigliera Zonari: “Vogliamo vedere le perizie”. Il vicesindaco Balboni: “Grave pericolo, passano migliaia di persone”.

Venti grandi alberi da abbattere lungo Rampari di San Rocco”, Anna Zonari, consigliera comunale de La Comune, lancia l’allarme e chiede trasparenza sull’operazione. Alessandro Balboni, vicesindaco con delega alle opere pubbliche: “Sono migliaia le persone che ogni giorno passano in Rampari di San Rocco in auto, a piedi o in bici, appena le indagini hanno dimostrato la pericolosità di quegli alberi è stato necessario intervenire tempestivamente”.

Botta e risposta sul verde. “L’imminente abbattimento di circa venti grandi alberi lungo i Rampari di San Rocco solleva serie preoccupazioni – così interviene Zonari –. Chiediamo vengano studiati processi partecipativi nella gestione del verde urbano. L’intervento, motivato da un generico “accertato rischio stabilità” e “rischio caduta”, ha portato alla chiusura della ciclopedonale e dei parcheggi prospicienti la cittadella di San Rocco. Tuttavia, l’entità e la dimensione degli alberi coinvolti – alcuni con un diametro di quasi 60 centimetri – rendono indispensabile una chiarificazione dettagliata”. Zonari oggi presenterà una richiesta di accesso agli atti. “Chiediamo – riprende – quali perizie tecniche giustificano l’intervento, se sono stati messi in atto interventi di cura e prevenzione negli ultimi anni. Ancora. Se sono state valutate alternative all’abbattimento? Che idea di città abbiamo, se non interveniamo per tempo su 20 alberi in un’area storica e strategica, in piena crisi climatica? In un contesto di crisi climatica sempre più evidente, con un giugno classificato come “anomalia fuori scala” per le sue temperature estreme, l’eliminazione di alberi in un’area storica e strategica della città è inaccettabile senza una valutazione trasparente e una programmazione a lungo termine che coinvolga attivamente la cittadinanza. Gli alberi non sono semplici “arredi urbani”, bensì infrastrutture ecologiche essenziali. Assorbono CO2, forniscono ombra e rinfrescano l’aria, trattengono le polveri sottili, promuovono la biodiversità, riducono il rischio di allagamenti e l’inquinamento acustico. Tagliare alberi in città senza una visione chiara e risorse stabili è un grave errore strategico”.

“La scelta di abbattere un albero non è mai presa a cuor leggero e la nostra amministrazione interviene solo quando necessario – interviene il vicesindaco Alessandro Balboni –. Sono migliaia le persone che ogni giorno passano in Rampari di San Rocco in auto, a piedi o in bici, pertanto appena le indagini hanno dimostrato la pericolosità di quegli alberi è stato necessario intervenire tempestivamente. Negli ultimi 6 anni la nostra amministrazione non si è limitata a piantare 15mila nuovi alberi ma sono stati fatti grandi passi avanti sulla cura del verde esistente, anche grazie a un nuovo Contratto di Servizio del Verde Pubblico realizzato con la partecipazione dei comitati ambientalisti. In questi anni abbiamo investito sulla formazione del personale che effettua le potature e collaboriamo con eccellenti agronomi per la cura e tutela del nostro patrimonio arboreo. Francamente trovo inutile il doppiopesismo di alcuni che si scandalizzano quando vengono abbattuti per necessità alberi pericolanti ma si precipitano a gridare alla tragedia sfiorata quando una pianta sul nostro territorio crolla durante un temporale.

Abbattimento alberi, La Comune chiede lumi: “Dove sono le perizie? E la prevenzione?”

Il gruppo consiliare di Anna Zonari ha posto alcune domande all’amministrazione: i dettagli
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Abbattimento di alberi in città. E La Comune chiede spiegazioni. Il gruppo, con in testa l’ex candidata a sindaco Anna Zonari, ha infatti posto quattro domande all’amministrazione circa la rimozione – nello specifico – di 20 esemplari lungo Rampari di San Rocco: essenze a rischio caduta.

“L’entità e la dimensione degli alberi coinvolti, alcuni con un diametro di quasi 60 centimetri, rendono indispensabile una chiarificazione dettagliata – fanno presente da La Comune -. Quali perizie tecniche giustificano l’intervento? Sono stati messi in atto interventi di cura e prevenzione negli ultimi anni? Sono state valutate alternative all’abbattimento? Soprattutto: che idea di città abbiamo, se non interveniamo per tempo su 20 alberi maturi in un’area storica e strategica, in piena crisi climatica?”.

Poi l’attacco politico: “L’abbattimento di questi grandi alberi – si legge nel documento -, unito ad interventi urbanisticamente discutibili come la piazza dei Rampari di San Paolo, evidenzia una preoccupante mancanza di una visione d’insieme e di capacità nella gestione di questa complessità ambientale, vegetale e patrimoniale della nostra città. È tempo che l’amministrazione riconosca il valore inestimabile del nostro patrimonio verde e adotti un approccio che metta al centro la partecipazione dei cittadini e degli esperti nella pianificazione e nelle decisioni che riguardano il futuro della nostra Ferrara”.

 

Quella cosa chiamata città. Ferrara città parco o città merce? Da Vasco Rossi al Central Bosc

La settimana scorsa è stata caratterizzata da grandi annunci per il futuro della città. Si è andato dalla diffusione dei due concerti di Vasco Rossinel parco urbano, alla presentazione pubblica del “Central Bosc”. Quindi da un lato si annuncia un nuovo parco urbano dalla forte valenza eco-ambientale, a est, dall’altro si reitera, a nord, con ben due eventi programmati per 100.000 persone, la distruzione del parco urbano esistente, compromettendone il suo ruolo culturale, ambientale e paesaggistico.

Sarebbe stato interessante se l’assessore Balboni avesse dichiarato, presentando il “Central Bosc”, che con questa realizzazione si avvia un percorso che ci porterà alla redazione di un Piano del verde, perché siamo fermamente convinti che solo una visione d’insieme dia senso ai singoli interventi e ci permette di misurarne la complessità, integrandoci con il piano della mobilità sostenibile e con tanto altro: ma non l’ha detto.

Del resto, si sa che la natura ha una grande propensione alla colonizzazione (o ricolonizzazione). Quando alcune aree, un tempo costruite e gestite dall’uomo, vengono abbandonate la natura se ne riappropria. Sta capitando anche per le mura ferraresi che da mura possenti, che con il loro colore contrastano il verde dei filari alberati, in lunghi tratti appaiono ricoperte da erbe rampicanti che le nascondono e le corrodono.

Percorrere il vallo delle mura oggi sembra di attraversare un enorme rudere, di ruskiniana memoria, dove il manufatto difensivo appare, in molti tratti, completamente avvolto dalla vegetazione, rafforzando l’idea di abbandono più che di gestione oculata di un bene patrimoniale (le mura) e paesaggistico (il vallo). Vale la pena di ricordare che nel settembre 2020 il sindaco e la sua giunta annunciarono alla città il progetto “1 km di mura all’anno”.

In questi anni Ferrara ha ospitato numerosi dibattiti sull’importanza del verde urbano nelle sue varie forme, si è parlato spesso dell’idea di Ferrara città-parco, si è messo in rilievo il fatto che non vi sia un piano del verde, in grado di coordinare i diversi interventi e le politiche necessarie per valorizzare l’idea di una città-paesaggio incentrata sull’equilibrio che si potrebbe stabile tra aree costruite, campagna e spazi verdi o da rinaturalizzare.

Si sono criticati, giustamente, interventi venduti come azioni di contrasto alle isole di calore, ma che in realtà non lo sono, essendo in gran parte aree pavimentate, come nel caso di Cortevecchia o peggio ancora, nell’intervento urbanisticamente insensato della piazza dei Rampari di San Paolo, a servizio di niente, essendo una superficie lastricata con alberi allineati e strisce di erba secca, a fianco di un parcheggio e senza locali in grado usare la distesa. Tanto valeva fare un “boschetto” associando alberi, arbusti e prato e non una pavimentazione minerale.

Il “Central bosc” è certamente una proposta interessante, emersa da anni, da quando Ferrara era ancora governata da un’altra giunta, in tesi di laurea sulla rigenerazione del settore est della città, così come della darsena, vedremo se e come verrà realizzato.

In realtà, perché una città sia definibile “parco” non è importante concentrarsi solo sulla realizzazione di singoli progetti ma prima di tutto va focalizzata un’idea di insieme, di complessità, in grado di conferirle questo carattere. Insomma, un sistema interagente di spazi non costruiti di varia “natura” (parchi, giardini, viali alberati, aree abbandonate rinaturalizzate, piazze giardino, spazi infrastrutturali rinverditi, valorizzazione e rafforzamento del verde collettivo residenziale e condominiale ecc.), tenuto insieme da una trama verde che si pone anche come servizio ecosistemico di scala urbana e periurbana: questo significa “città-parco”.

Si possono citare tanti esempi reali a noi vicini (Vienna, Lubiana, Friburgo, ecc.) dove il verde supera il 50% dell’area urbana (noi siamo al 30-35%), articolato in giardini, aree forestali periurbane, corridoi verdi ed ecologici tra le case, verde stradale, microgiardini nelle aree più densamente urbanizzate, per contrastare le isole di calore. Inoltre, dall’esperienza di queste città emerge con forza la capacità di gestire questa complessità ambientale, vegetale e patrimoniale, perché le politiche da tempo sono orientate alla riorganizzazione ecosistemica delle aree urbane e questo processo non va solo concepito ma anche gestito.

Si investe sui servizi tecnici per la gestione del verde urbano e la pulizia della città (dunque lavoro specializzato), vengono inoltre promossi orti comunitari di quartiere, progetti educativi nelle scuole. Nel pieno centro di Parigi una delle corti della sede del prestigioso istituto universitario Science Po, è stato trasformato in jardin partagé: un orto collaborativo gestito da studenti, docenti e personale.

Adesso partiranno a Ferrara i restauri del polo universitario storico di via Savonarola, speriamo che emerga una riflessione sulla rigenerazione anche dei giardini e spazi di quel settore integrate alla mobilità sostenibile per renderli di uso pubblico.

In questi mesi, nelle strade della capitale francese numerosi manifesti ricordano continuamente che il comune assume giardinieri per la gestione del verde della città. Una politica del verde non si limita solo al piantare alberi, questo va anche gestito, governato.

Da questo punto di vista (non l’unico) Ferrara sembra essere diventata una “Allegoria del cattivo governo” del verde e non solo per la gestione delle mura, ma in Corso Isonzo i platani ormai entrano nelle finestre degli appartamenti, il verde stradale ha lasciato il posto a superfici rinsecchite, quando si svolgono eventi come festival o mercati nei parchi della città o in darsena abbiamo visto i mezzi meccanici degli espositori stazionare sui prati e non nelle superfici lastricate, anche nel caso delle fiere florovivaistiche a Parco Massari.

Inoltre, gli interventi e le “migliorie” delle strade non sembrano orientati alla captazione delle acque piovane attraverso il verde stradale. Da decenni in molte città europee vengono applicate tecniche di gestione sostenibile delle acque meteoriche, utilizzando aree verdi lungo le strade o nelle rotonde per filtrare e trattenere l’acqua piovana, consentendo il deflusso nelle aree verdi e non nelle superfici asfaltate, anche attraverso il disegno dei cordoli, riducendo così il carico sull’infrastruttura di drenaggio e le dispersioni dell’acqua.

Nel bilancio di previsione di quest’anno non ci sono soldi per la manutenzione ordinaria e straordinaria del verde, i fondi del PNRR questi temi nemmeno li hanno sfiorati, abbiamo però destinato 8 milioni di denari pubblici per rinnovare l’aviosuperficie, a vantaggio di una esigua minoranza di cittadini.

Sono in attesa che qualcuno mi spieghi la relazione tra la riqualificazione pubblica di un’aviosuperficie (di fatto privata), la resilienza, la transizione ecologica e gli obiettivi della Missione 5: Inclusione e Coesione del PNRR. Se governare significa anche stabilire delle priorità il messaggio è chiaro.

In questi giorni è stato annunciato che grazie alla Nestlé pianteremo 200 alberi (500 in tre anni) e il dove lo decideranno i cittadini: ben 10 mila euro che equivalgono al costo del rifacimento di un bagno di media grandezza. Anche le monetine della Nestlé vanno bene (prendiamo tutto), ma se collocati dentro una strategia, dentro una visione coincidente con un piano del verde, che è ciò che manca.

Tralasciando il verde, credo che il degrado della città sia evidente in tanti indicatori, ne cito solo alcuni. La città è sotto la morsa inquinante di un parco auto vecchio e il PUMS (Piano urbano della mobilità sostenibile) non viene attuato, la pavimentazione di Via Garibaldi sta cedendo sotto il passaggio quotidiano di furgoni, corrieri, auto, taxi. Questi ultimi non possono raggiungere Piazza Sacrati e le aree del centro percorrendo Viale Cavour e idem i corrieri, anziché Via Garibaldi? Tutte le mattine molti furgoni attraversano, spesso a velocità sostenuta, Via Garibaldi per andare da Corso Isonzo a Via Boccacanale di Santo Stefano, perché non entrano da Viale Cavour?

Gli assi centrali del centro storici sono ormai luoghi di conflitto tra pedoni, biciclette, rider che zigzagano tra le persone, furgoni, auto e ognuno ritiene di avere diritto di precedenza. Molte aree verde tra cui il parco urbano sono ormai diventati dei parcheggi grazie alla politica del non controllo. Il non controllo non è una carenza dovuta a mancanza di personale o altro, è una scelta politica.  Ma la democrazia significa rivendicare la propria libertà nel rispetto delle regole o fare ciò che si vuole? Qualcuno dirà: le regole ci sono ma non vengono rispettate dai cittadini, ma il “buon governo” significa anche far rispettare queste regole con autorevolezza (e non autorità).

Altro punto dolente, qualcuno ricorderà sicuramente la città di Leonia -la città dei rifiuti- descritta da Italo Calvino, Ferrara è sulla buona strada per eguagliarla, basta fare un giro per isole ecologiche da Corso Isonzo a Piazzetta Tasso e tante altre (la lista potrebbe essere lunga, per rendersi conto delle condizioni drammatiche della raccolta dei rifiuti in città.

Che ne dice il direttore di Hera che gira l’Italia nei festival green a parlare di città futura, di questo fallimentare sistema di raccolta dei rifiuti? Non interessano soli i dati sulla quantità di riciclo urbano (che andrebbero verificati), ma una valutazione su quello che si vede girando in città, con rifiuti umidi e solidi ammassati attorno ai cassonetti, oggetti abbandonati, strade lerce che nessuno pulisce con metodo e regolarità. Un tempo da noi gli spazzini pulivano tutti i giorni le strade, in molte città europee si continua a farlo ancora oggi.

Infine, gli eventi. I concerti annunciati di Vasco Rossi così come il Ferrara Summer Festival in piazza Ariostea sono figli di una logica “estrattiva” che considera la città come una merce da spremere senza porsi problemi per i disagi arrecati ai cittadini. La “città-merce” è quella che trasforma lo spazio urbano in valore economico, attraverso la rendita fondiaria, gli investimenti immobiliari speculativi, l’attrattività generatrice di overturism, ecc.

Di solito vengono favoriti investitori privati mentre l’uso della città è subordinato alla loro capacità di acquisto e azione e viene ridimensionato il diritto per tutti alla città. I grandi eventi si collocano in questa prospettiva, in particolare quando vengono imposti senza un reale confronto con le varie istanze socioeconomiche e culturali di una città, compresi i suoi cittadini.

Si tratta di un fenomeno che spesso è associato alla gentrificazione, al branding o marketing urbano, alla privatizzazione dello spazio pubblico. Autori come Henri LefebvreDavid Harvey o Sharon Zukin hanno approfondito questi aspetti legati alla produzione capitalistica dello spazio urbano, alle estetiche e politiche urbane neoliberiste che vedono spesso le amministrazioni pubbliche svolgere un ruolo ancillare rispetto alle società finanziarie, imprenditoriali o alle agenzie portatrici di specifici interessi economici come quelle che gestiscono i grandi eventi.

L’idea di “città-merce” è legata ad una pratica di governo orientata al “comando” e si sa che nella cultura maschile, votata al comando, la “dimensione” è sempre stata più importante della “prestazione” (qualitativa e ricca di sfumature) ma le pratiche di governo richiederebbero una maggiore complessità di visione.

Il tour di Vasco Rossi si svolge in gran parte in stadi: perché non a Ferrara visto che abbiamo uno stadio di serie A senza squadra? E l’aeroporto, visto i soldi pubblici che spenderemo, non lo potremmo utilizzare anche per questo evento? Certo che si potrebbe, ma il potere che comanda ha bisogno di rivendicare continuamente la sua autorità e lo fa anche distruggendo i simboli che non gli appartengono e che ritiene antagonisti.

la cultura che ha espresso il parco urbano Giorgio Bassani non appartiene a questa amministrazione. Quindi la “città merce” si basa su rapporti di potere selettivi che uniscono chi governa e chi è portatore di interessi forti, i cittadini sono esclusi dal tavolo. A loro si raccontano favole green e identitarie; finché la maggioranza dei cittadini ci crede e li vota il potere autoritario si perpetua.

Ancora senza Biciplan, è un’occasione persa. Restituiti anche i fondi

Ferrara ancora senza Biciplan: occasione persa e nessun impegno per il futuro. L’assessore Vita Finzi ha risposto all’interrogazione consiliare del gruppo La Comune di Ferrara sulla mancata realizzazione del Biciplan, uno dei progetti per cui il Comune aveva ricevuto fondi ministeriali. dei 6 interventi previsti, solo quattro sono stati completati: il Biciplan, considerato troppo oneroso in termini di risorse umane, è rimasto sulla carta. I 32.000 euro destinati sono stati restituiti. E’ sconcertante – commenta la consigliera Anna Zonari (La Comune) – che Ferrara, storicamente Città della bicicletta, si affidi ancora a un Bicplan del secolo scorso, senza nemmeno dichiarare di aggiornarlo o riprogrammarlo.

Ferrara resta ancora senza il Biciplan. Progetto accantonato perché oneroso. Zonari: «Sconcertante, l’amministrazione ha restituito 32mila euro di contributo»

Ferrara «La città ancora senza Biciplan: occasione persa e nessun impegno per il futuro».

Ad affermarlo è la consigliera comunale de La Comune di Ferrara Anna Zonari all’indomani della risposta dell’assessore Vita Finzi a una interrogazione del gruppo consiliare sulla mancata realizzazione del piano della mobilità ciclistica, «uno dei progetti per cui il Comune aveva ricevuto fondi ministeriali.

Dei sei interventi previsti ricorda Zonari solo quattro sono stati completati: il Biciplan, considerato troppo oneroso in termini di risorse umane, è rimasto sulla carta. I 32mila euro destinati sono stati restituiti». Secondo la consigliera «è sconcertante che Ferrara, storicamente città della bicicletta, si affidi ancora a un Biciplan del secolo scorso, senza nemmeno dichiarare l’intenzione di aggiornarlo o riprogrammarlo.

Serve una visione aggiornata e concreta, che tenga conto delle mutate esigenze della città e dei cittadini».

La risposta dell’assessore, rimarca Zonari, non chiarisce se e quando si intenda rimediare a questa mancanza, né come si intenda reperire le risorse necessarie: «Un nuovo Biciplan ha un costo certamente superiore ai 32mila euro restituiti al ministero, ma questa non può essere una scusa per non fare nulla. E’ proprio da qui che occorre ripartire: da una chiara volontà politica, da un cronoprogramma e da una strategia di reperimento fondi, anche attraverso canali regionali o Pnrr».

Il gruppo La Comune di Ferrara assicura che continuerà a sollecitare l’amministrazione affinché il tema della mobilità ciclabile sia affrontato con la serietà e la centralità che merita.

Ferrara senza Biciplan. Zonari: “Sconcertante”

La consigliera de La Comune di Ferrara aveva interrogato l’assessore VIta Finzi e ritiene che non ci si possa affidare “a un Biciplan del secolo scorso, senza nemmeno dichiarare l’intenzione di aggiornarlo o riprogrammarlo”

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L’assessore Stefano Vita Finzi Zalman ha risposto all’interrogazione del gruppo consiliare La Comune di Ferrara sulla mancata realizzazione del Biciplan, uno dei progetti per cui il Comune aveva ricevuto fondi ministeriali.

L’assessore spiga he non è stato possibile procedere alla realizzazione “a causa di una temporanea mancanza di risorse organizzative e di personale, necessarie al
coordinamento e alla rendicontazione delle attività”.

Aggiunge però che “il tema della mobilità ciclabile è stato comunque affrontato in modo approfondito all’interno del Pums comunale, e l’amministrazione ha continuato a investire in questo ambito accedendo a fondi regionali e Pnrr, con interventi per l’ampliamento e la valorizzazione della rete ciclabile”.

I 32mila euro destinati al progetto sono dunque stati restituiti.

“È sconcertante – commenta la consigliera Anna Zonari – che Ferrara, storicamente città della bicicletta, si affidi ancora a un Biciplan del secolo scorso, senza nemmeno dichiarare l’intenzione di aggiornarlo o riprogrammarlo. Serve una visione aggiornata e concreta, che tenga conto delle mutate esigenze della città e dei cittadini”.

La risposta dell’assessore non soddisfa la consigliera anche perché non chiarisce se e quando si intenda rimediare a questa mancanza, né come si intenda reperire le risorse necessarie.

“Un nuovo Biciplan – conclude Zonari – ha un costo certamente superiore ai 32.000 euro restituiti al ministero, ma questa non può essere una scusa per non fare nulla. È proprio da qui che occorre ripartire: da una chiara volontà politica, da un cronoprogramma e da una strategia di reperimento fondi, anche attraverso canali regionali o Pnrr”.

Il gruppo La Comune di Ferrara continuerà a sollecitare l’amministrazione affinché il tema della mobilità ciclabile “sia affrontato con la serietà e la centralità che merita”.