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La Comune di Ferrara | Femminile, Plurale, Partecipata

Inviato il:

10 Settembre 2025

Andrea Pieragnoli

Caro collega cittadino, ti odio!

Riflessioni su eventi, piazze e il senso smarrito di collettività

Sempre più connessi, sempre più soli

Viviamo in un’epoca in cui siamo sempre più connessi ma sempre più soli.
La tecnologia ci illude di essere parte di una comunità globale: ci si chiama “amici”, ci si misura in iscritti, like e visualizzazioni… ma nella realtà quotidiana i legami si sfaldano, i rapporti di vicinato si allentano, le piazze – fisiche e simboliche – diventano terreno di scontro invece che di incontro.

La città, invece di essere il luogo della socialità, diventa lo scenario della solitudine di massa, dove ognuno difende il proprio pezzo senza riconoscere quello dell’altro.


La sbornia degli eventi

Il senso di collettività sembra manifestarsi solo in pochi momenti: quelli esperienziali, intensi, catartici, come i concerti o i grandi eventi, potenti amplificatori emotivi capaci di generare una sorta di “sbornia musicale”, droga fisiologica difficile da abbandonare, che spinge a desiderarne sempre di nuove in nuove dosi – anche a costo di sacrificare la “casa comune”.

Ma se per chi partecipa questo effetto ha una valenza quasi identitaria, per chi subisce passivamente l’impatto – rumore, traffico, limitazioni di libertà – il risultato è opposto: frustrazione, rabbia, impotenza, solitudine e abbandono da parte delle Istituzioni.


Dai cittadini ai sudditi

Il termine collettività ha perso progressivamente la sua valenza originaria: non significa più “società”, ma solo “gruppi” che si fronteggiano e si percepiscono come opposti, incapaci di riconoscersi come parti dello stesso organismo sociale.

A peggiorare questa frammentazione interviene la politica: ciò che il “Capo” decide viene imposto come benessere collettivo a prescindere, anche quando non è vissuto come tale da tutti.

E chi solleva dubbi o resistenze rischia di essere deriso o ghettizzato.

Cosa è una persona che non può entrare o uscire liberamente da casa sua, se non un cittadino ridotto a suddito, a confinato?


Una città senza futuro

Cittadini contro cittadini, carnefici o salvatori a seconda della prospettiva.
Si rischia di arrivare al punto di chiedere prima di soccorrere qualcuno “per chi ha votato”, e in base alla risposta decidere se tendergli la mano o lasciarlo solo nei suoi guai.

Una Città così non è Comunità: è una somma di egoismi contrapposti, una collettività senza collettivo.

Una città che si avvita in questa logica non potrà mai guardare al futuro perché resterà intrappolata in un perpetuo presente fatto di conflitti interni, rancori reciproci e muri invisibili.

E dopo il muro contro muro saremo costretti ad affrontare il faccia a faccia: sta a tutti noi decidere se farlo ora o alla fine del viaggio, quando le ceneri degli errori saranno alte e ci troveremo tutti indistintamente profughi di una città che non c’è più e quando ormai sarà troppo tardi.


Dalla connessione alla comunità

Una città non è mai solo un palcoscenico per eventi, né un dormitorio da difendere dai rumori.
È un organismo vivo che respira grazie all’equilibrio tra i suoi spazi, i suoi ritmi e le sue persone.

Le piazze, come le case, sono luoghi di relazioni. E dove manca il dialogo, cresce il rumore – anche quando i concerti tacciono.

E’ indispensabile recuperare la capacità di vivere insieme, di costruire esperienze condivise rispettando la libertà altrui trasformando la connessione in comunità, il contatto in relazione, l’evento in esperienza collettiva.

L’impegno è trovare un equilibrio tra vitalità e vivibilità, tra uso pubblico e rispetto privato.


Non tifoserie, ma cittadinanza

Gli eventi – o le disgrazie, a seconda di chi giudica – che si sono tenuti durante l’anno in Città, e i contrasti che ne sono scaturiti (residenti di Piazza Ariostea e della Darsena vs. partecipanti e organizzatori), hanno polarizzato non solo l’attenzione della stampa, ma anche le posizioni delle due fazioni.
Non è necessario schierarsi, scegliere da che parte stare – residenti o spettatori, organizzatori o contestatori – ma riconoscersi nella stessa appartenenza.
La vera collettività non è fatta di tifoserie contrapposte, ma di una pluralità che impara a mediare, a condividere e a progettare insieme.

Per questo servono strumenti nuovi di partecipazione e mediazione, capaci di:

  • ascoltare i bisogni di chi abita i luoghi e di chi li vive temporaneamente;
  • immaginare soluzioni organizzative che non siano imposizioni, ma compromessi intelligenti;
  • trasformare ogni evento in occasione di legame e partecipazione, non di divisione.

Recuperare il bene comune

La sfida è restituire senso al termine bene comune: significa che ogni scelta deve portare un vantaggio alla comunità nel suo insieme, non solo a una parte.

Ogni scelta urbana – anche culturale – dovrebbe chiedersi: “Questa decisione fa respirare o soffocare la Città?”

Ferrara oggi ha l’occasione – e il dovere – di scrivere una nuova regia partecipativa della sua cultura urbana.

Non servono più scontri, servono alleanze tra attori diversi – organizzatori, cittadini e pubblico pagante – capaci di guardarsi negli occhi e riconoscersi parte di un’unica scena: Ferrara.

Solo così la città potrà tornare ad essere bella, felice, entusiasta e con prospettive.
Solo così smetteremo di guardarci come nemici e torneremo ad essere colleghi cittadini, capaci di costruire insieme il futuro.

 


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