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Cittadini del mondo, dove va?
Ho incontrato gli amici di Cittadini del mondo all’epoca della Riforma Gelmini (2008): la chiamavamo “deforma” perché imponeva tagli lineari e precarietà diffusa alla scuola e all’ Università italiane, oltre a un’organizzazione fortemente aziendalista. I risultati oggi si vedono bene, ma già allora si potevano intuire. Per chi volesse ripercorrere con sguardo largo quel periodo, consiglio il bel lavoro di Girolamo De Michele intitolato “La scuola è di tutti”. Alzi la mano chi si ricorda il Coordinamento Istruzione Pubblica! Insegnanti, studenti, sindacato: io e altri colleghi partecipavamo come ricercatori precari, e svolgevamo le nostre riunioni e attività proprio alla sede di Cittadini del mondo, in via Kennedy. Spesso eravamo così tanti che alcuni restavano in piedi, ma siamo sempre riusciti ad organizzare bellissime e pacifiche manifestazioni di dissenso. Leggo che vogliono spostarla a Chiesuol del Fosso, ma forse mi sbaglio. Come si può pensare che i ragazzi e le ragazze stranieri che abitano a Ferrara da poco tempo e che a Cittadini fanno lezione di italiano possano raggiungere un posto così fuori mano? Mercoledì 7 maggio alle 18 raggiungerò Cittadini del mondo nella loro storica sede per partecipare all’assemblea e discutere della situazione, immagino ci vedremo in tanti là.
Leggo che anche la sede del circolo Arci Bolognesi è in forse, e mi ritrovo in un nuovo flusso di ricordi. Abbiamo chiesto e ottenuto collaborazione per molte serate di autofinanziamento e informazione durante la campagna referendaria sull’acqua pubblica (2010-2011), dove abbiamo fatto incontri, aperitivi, concerti, tutti molto riusciti. Ricordo anche la scuola di musica e danza africana organizzata al Bolognesi, e il festival (con saggio) lungo le Mura nord. Ovviamente ho memoria dei tantissimi concerti e djset, musica così diversa e di grande qualità. Il Bolognesi è sempre stato un ambiente accogliente e vivo, aperto alle differenze e dove il divertimento si faceva intercultura. Poi l’anagrafica e gli impegni mi hanno portata lontano da questo angolo incantato (ne parla anche Bruno Zevi nel suo “Perché Ferrara è bella”) e da chi lo fa vivere, ma sarebbe grave perdere un luogo di socialità così ricco per un mancato accordo di convivenza con i residenti, se questo è il problema.
Mentre penso alle persone e agli spazi, le une che modificano gli altri e viceversa, l’emozione mi porta diretta alla chiusura del Centro sociale La Resistenza. Nella mia memoria è una delle case del Comitato acqua pubblica, ritrovo per i festeggiamenti più colorati del 25 aprile, delle cene vegetali e non con Marianna ai fornelli, dei seminari (ne ricordo uno bellissimo sul reddito di base e una serie intera su Michel Foucault), e i laboratori di giocoleria per grandi e piccoli nei pomeriggi di primavera, i concerti di musica industriale, il gruppo di acquisto solidale: i miei sono veramente pochi fotogrammi di un lungometraggio degno di Almodovar. Un energico collettivo che in autogestione ha incarnato per anni in città l’idea del centro sociale giovanile aperto a tutti/e. Infatti il pomeriggio, avendo tempo, si poteva giocare a carte con gli anziani del quartiere.
Se a tutto questo aggiungo la vicenda del Centro servizi volontariato, su cui risparmio i racconti perché sono troppi e sfilacciati, se penso che anch’esso è destinato al trasferimento (a Chiesuol del Fosso?!), mi chiedo che idea di città abiti nei progetti dell’Amministrazione comunale.
Sindaco Fabbri, mi rivolgo a lei, davvero è utile allontanare una dopo l’altra le voci che suonano diversamente? Alla fine quale sarà l’effetto? Ci ripensi. Non per me, certamente, ma perché le monoculture non ci possono sfamare.
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