Dove comincia il mare si misurano i confini, crescono le speranze, si fermano le illusioni.
È lì, nel fragile equilibrio tra terra e acqua, che si svela il senso della nostra responsabilità.
Durante un viaggio di ritorno dall’Olanda verso Volano — dove pratico windsurf — mi posi una domanda semplice quanto fondamentale: se la terra dei tulipani esiste, è perché quel popolo ha compreso il problema e ha scelto di intervenire tempestivamente. Oggi, in anticipo su molte altre nazioni, stanno già progettando soluzioni per far fronte agli effetti del cambiamento climatico.
In Italia, al contrario, osserviamo fenomeni inarrestabili: le coste vengono erose e contemporaneamente la subsidenza per estrazione di gas metano e il compattamento del terreno torboso agiscono abbassandole.
È una questione di equilibrio. L’acqua riprende i suoi spazi. Il vuoto chiama il pieno.
Ma non è il sale della vita.
È un equilibrio che funziona a senso unico: dove una volta l’acqua arrivava dal monte ora arriva dal mare, si incunea, ricopre, impregna e si nasconde, non risale più dal tronco alle chiome dei peschi, perché li uccide prima, lavora sotto le loro radici, bruciandole.
E con esse tutto ciò che cerca di nutrirsi e dissetarsi dal terreno: le piante lungo i fossi, l’erba, le tradizioni.
Ciò che è perso non si ritrova, quello che si è tolto non può essere reimmesso: il pieno che lascia il vuoto.
La rassegnazione dell’uomo abbandona le terre mentre l’ingegno porta nuova economia, nuovo sapere.
L’itticultura, per esempio.
Più trascorre il tempo più il cuneo salino spinto dall’innalzamento del livello del mare e dalla riduzione dei deflussi fluviali, si infiltra nelle vene della terra. Con esso anche i veleni, perché non è solo il cuneo salino che divora la vita, ma anche gli inquinanti improvvidamente versati dalle attività umane, come il PFAS, per esempio, contenuto anche nei diserbanti usati in agricoltura e nelle attività civili di eliminazione delle erbe spontanee .
Serve un cambiamento di paradigma, modo di vedere, cultura della terra che progredisce sinergicamente con quella dell’acqua. Un nuovo approccio culturale in cui l’equilibrio tra terra e acqua non sia più gestito in chiave emergenziale, ma strutturale e sistemica.
Noi, che abbiamo i piedi nell’Adriatico, dobbiamo chiederci dove comincia effettivamente il mare: dal bagnasciuga? O più dentro, dalla terra che accoglie le due acque? O addirittura ancora più lontano, dalle sorgenti che lo nutrono?
Forse si , è ora di metterci sul bagnasciuga con le dita dei piedi infilate nella sabbia, bagnate dall’onda che viene e che va, per voltarci indietro, verso ovest, verso i monti, dove tutto origina limpido e man mano raccoglie lo sporco dei nostri pensieri, mai abbastanza depurati, sempre più appesantiti dalla fatica di non saper scegliere, arresi alla rassegnazione che qualsiasi cosa si faccia a poco o a nulla servirebbe, increduli che esista una risposta.
Eppure, la risposta esiste. L’ho incontrata per caso, camminando per le strade di La Rochelle, in Francia, impressa su una semplice borchia di ottone posta accanto a un tombino, a pochi metri dal mare. Recava la scritta: “Ne rien jeter, ne rien vider. La mer commence ici.”

In un primo momento mi è sembrata quasi una citazione poetica di ciò che accade a Venezia con l’acqua alta, quando il mare rigurgita in piazza San Marco e i turisti divertiti prima ci si specchiano e poi ci camminano dentro. Il mare madre e inizio di tutte le cose.
Poi ho trovato la stessa scritta, sempre posizionata vicino ad un tombino, a Digione… ma come? A Digione? A più di 500 km dalla costa atlantica e a oltre 300 da quella mediterranea? E non sullo stesso bacino idrico ? Non si trattava più di suggestione: era un sistema. Un modello educativo.
E allora la mente unisce i punti geografici e i pensieri: il mare comincia dove l’acqua sorge e poi scorre e poi si allarga e poi ci avvolge e ci nutre amnioticamente.
Ogni goccia di acqua che cade diventa inizio del mare.
Si uniscono punti e pensieri passando per Parigi, dove la Senna è stata resa balneabile anche grazie a un cambiamento culturale profondo. Non solo interventi infrastrutturali, ma una presa di coscienza collettiva, un’educazione ambientale diffusa, promossa anche con strumenti semplici, visibili, comprensibili: come quelle borchie sui tombini. Messaggi chiari, accessibili a tutti, economicamente sostenibili, ma dal forte impatto simbolico e civile.

Non servono nuove leggi, servono nuove mentalità. Una filiera virtuosa che parta dalla montagna e arrivi al mare, superando i confini amministrativi e politici. Una rete di “siti Amici del mare”, di territori che si riconoscono parte di un bene comune, che condividono pratiche corrette e che si impegnano — al di là delle scadenze elettorali — per un futuro sostenibile. Solo allora, forse, potremo affermare che anche da noi il mare arriva in Darsena, consapevoli che non nasce qui, ma molto più a monte.
Bravo Andrea, hai colto nel segno! Un bellissimo articolo, poetico e profetico. Si può cominciare dalle piccole cose, la prima è informare. Perchè ancora tante persone non hanno la consapevolezza della situazione in cui si trova il nostro territorio. Dopo l’informazione, è necessario l’ascolto, la presa in carico e la co-progettazione partecipata di interventi per affrontare insieme il problema, che, se riusciamo anche a cambiare il nostro punto di vista, può diventare persino un’opportunità.
Premesso che non condivido la semplificazione chemofobica che stigmatizza sostanze e materiali, anziché scelte e comportamenti umani…in parole povere: io non ce l’ho con la plastica; il contributo di Andrea mi spinge a riportare una recente esperienza dove le scelte francesi di sensibilizzare la gente sulle conseguenze dell’inquinamento trovano una profonda ragione. Facendo un tracking lungo la costa rocciosa del nord della Sardegna ho avuto l’opportunità di vedere quanta plastica finisce in mare. Considerando che quella che si trova sulle spiagge e sulla costa rocciosa , portata da onde e vento è solo una piccola percentuale di tutta quella che si trova in mare, in una piccola insenatura rocciosa della Costa Paradiso ho trovato 11 barili/bidoni blu e gialli (dai 20 ai 50 litri di volume), una cisterna bianca da 1500 litri, oltre a decine di bottiglie e centinai di tappi di plastica. Vedi foto.


D’accordo! è una insenatura dove tutta quella plastica probabilmente è stata portata dal mare in più mesi o anni, come la catasta di legname che si vede nella foto, ma ciò non toglie che un angolo così bello di costa perde completamente il suo fascino trasformandosi in una discarica. Le centinaia di tappi di bottiglia in plastica poi mi hanno ricordato le assurde polemiche, in genere sovraniste, che girano sul web, per la norma europea di produrre solo bottiglie in plastica con tappi non rimovibili. E’ vero sono più scomode se volete bere a collo , ma fate un giro nella Costa Paradiso (della plastica) e forse capirete che anche quella norma ha una sua ragione.
Per completare la triste esperienza durante lo stesso tracking in una baia ho fotografato un cormorano che prova ad ingoiare un lembo di plastica scambiandolo per un pesce.
Che dire? Anche se viviamo a centinaia di chilometri di distanza, i nostri comportamenti possono inquinare il mare.