L’ECONOMIA FERRARESE: POLITICA DI SVILUPPO SOSTENIBILE O CORSA AL RIBASSO?
In questi anni, Ferrara non ha mai recuperato il differenziale di crescita del valore aggiunto con le altre città dell’Emilia-Romagna (dati dell’Istituto Tagliacarne). Con i suoi 26.337 euro procapite, la città è ultima in classifica e cinquantottesima provincia in Italia (al di sotto della media nazionale, che è di 29.703 euro).
I settori che crescono sono essenzialmente legati ad attività del terziario: in particolare i servizi alle imprese, aumentati in meno di dieci anni di oltre due punti percentuali. Si assiste a una leggera flessione del settore primario (che rappresenta circa un quarto di tutte le realtà produttive della provincia) e del commercio (che scende sotto la soglia del 20% delle imprese ferraresi). Il manifatturiero e il turismo registrano variazioni più contenute e di segno opposto tra loro: l’incidenza industriale è in calo, ed è viceversa in crescita quella dei servizi turistici di alloggio e ristorazione.
La città è defilata dai distretti industriali della via Emilia e della Romagna, con un tasso di disoccupazione che si attesta intorno all’8% (previsioni 2024 CCIAA FE-RA), e con una percentuale di disoccupazione giovanile tra le più alte della regione. In questi anni, le mancate azioni per sostenere il tessuto industriale (sempre polarizzato tra la grande impresa del Petrolchimico e le piccole imprese che compongono il tessuto locale) si sono fatte sentire. L’occupazione (anche quella di molti cittadini del capoluogo) è calata nelle grandi imprese del territorio, quali VM e Berco, ma anche nel ‘distretto’ di Ostellato, senza che l’Amministrazione locale e la Provincia siano mai stati interlocutori per gli investitori in fuga.
Un elemento fisico da implementare per essere maggiormente convincenti e attrattivi, e ottenere investimenti esterni da parte di chi aveva già investito a Ferrara, poteva essere quello infrastrutturale, non necessariamente legato all’autostrada ma rivolto alla ferrovia e alla costruzione di una rete di trasporto pubblico metropolitano tra Ferrara, Modena e Bologna. Da questo punto di vista, Ferrara dovrebbe nei fatti diventare una polarità del sistema metropolitano bolognese, oltrepassando i limiti della Legge 7 aprile 2014, che identifica amministrativamente e al di fuori di ogni logica geografica la città metropolitana nell’ex provincia di Bologna.
Con il piano di finanziamento del PNRR questa poteva diventare un’occasione di potenziamento del sistema viario locale a basso impatto ambientale, in grado di creare sinergie fra i tre centri emiliani sotto ogni punto di vista: mobilità studentesca, interazioni tra università e centri di ricerca, movimento merci delle imprese.
Ora si cerca di rimediare con l’istituzione delle cosiddette ZLS (zona logistica semplificata). Quest’area beneficia di agevolazioni fiscali, semplificazioni burocratiche e incentivi per le imprese che vogliono investire o ampliare la propria attività, ma i tempi di attivazione e i risultati potrebbero non essere immediati. Inoltre, con le grandi difficoltà che stanno affrontando le industrie manifatturiere, soprattutto dopo l’aumento dei costi di produzione, sarà difficile poter concorrere, dati anche i ribassi salariali, con l’Est europeo o altre aree che offrono condizioni di insediamento migliori delle nostre.
Nel 2024, questa corsa al ribasso non può essere al centro di una politica di sviluppo sostenibile. La presenza dell’Università doveva e dovrà essere il volano di iniziative per costruire nuove aziende, start-up che muovano proprio dalle facoltà del nostro Ateneo, ricche di scienza e di cultura, coinvolgendo anche la regione. Dopo lo svuotamento dell’ex agenzia di sviluppo Sipro, si attende da anni che qualcosa venga messo in moto. Alla Regione, tramite le sue politiche di sviluppo – finanziate da fondi Europei, dal proprio bilancio e cofinanziate dal Comune di Ferrara – bisogna chiedere questo tipo di impegno, lo stesso impegno dedicato a Bologna nel promuovere l’azione per attrarre risorse finalizzate all’apertura di nuovi centri di calcolo internazionale e del nuovo Centro Meteo. Solo attraverso percorsi innovativi che ‘sfruttino’ appieno la presenza di Unife è possibile costruire un’altra ipotesi industriale a basso impatto, ma servono una programmazione seria e attori istituzionali motivati.
Un impegno mancato, che al contrario è stato dedicato a vecchie logiche di terziario e turismo di basso profilo (mordi e fuggi) tendenti a massificare l’offerta su eventi più o meno spettacolari, che lasciano poco dal punto di vista del Valore Aggiunto e da quello occupazionale, soprattutto ai giovani (i giovani che rimangono a Ferrara dopo la Laurea sono pochissimi, perché vanno alla ricerca di migliori condizioni di lavoro, spesso al di fuori dell’Italia).
L’intreccio tra spopolamento e invecchiamento del ferrarese è sempre più forte (dati Ires CGIL).
Al 1° gennaio 2023, in Provincia di Ferrara, risultano iscritti all’anagrafe 36.571 stranieri, a fronte di 304.642 residenti con cittadinanza italiana. I cittadini non italiani sono quindi il 10,7% del totale e sono in crescita sull’anno precedente del 2,8%, pari a 1.013 unità. L’incremento maggiore si registra tra i cittadini ucraini, terzi per numerosità dopo i cittadini rumeni e marocchini.
Le istituzioni locali dovrebbero anche impegnarsi a impiegare meglio la risorsa costituita dalla manodopera straniera, cosa che finora non hanno fatto, finendo anzi spesso per muoversi in direzione opposta. Formazione e lavoro sembrano due modalità di inserimento e di integrazione poco noti a Ferrara. Anche qui serve una politica di lungo periodo che metta insieme un grande progetto di territorio (e anche di Paese, trasversale a tutti i settori produttivi) tuttora assente, creando Centri per l’Impiego (con la regia regionale), Agenzie locali Sostenute dal Comune, Centri di Formazione e scuole per la formazione al lavoro e l’apprendimento della lingua italiana.
Romeo Farinella
Professore di Urbanistica dell’Università degli Studi di Ferrara
Candidato per la lista de La Comune