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La Comune di Ferrara | Femminile, Plurale, Partecipata

Michele Nani | 28 Apr 2024

Per una nuova “sindachessa”, settant’anni dopo

Nel 2016 sono state accolte in Certosa le spoglie di Luisa Gallotti, più nota con il cognome del marito, Balboni, e per l’epiteto la sindachessa, forgiato per scherno dai suoi detrattori e, come talvolta capita, adottato rigirandone il senso in complice simpatia dal popolo ferrarese, che a decine di migliaia di voti l’aveva eletta in consiglio comunale. 

Nata a Parma il 28 aprile del 1913, alla vigilia della Prima guerra mondiale, dopo la giovinezza non restò a lungo nella città natale. Si laureò in lingue a Venezia, frequentando anche le lezioni di Concetto Marchesi, vi rimase per insegnare inglese nei licei e lì incontrò il ferrarese Piero Balboni, dirigente saccarifero. Entrambi antifascisti, si sposarono nel 1941 a Ferrara per rimanervi e partecipare alle attività del Partito comunista: la loro casa fu sede di riunioni clandestine durante la Resistenza. Militante e poi presidente della locale Unione donne italiane, alle prime elezioni libere dopo il fascismo nel 1946 entrò nell’assemblea municipale e dal 1948 fece parte della giunta, in qualità di assessore all’istruzione e alle arti. Avrebbe dovuto succedere al sindaco comunista dimissionario Werther Curti nel 1950, ma per la serrata opposizione della prefettura, amplificata dalla stampa di destra e cattolica, dovette attendere più di un anno e una sentenza del Consiglio di Stato. Fu un passaggio storico per l’Italia intera: per la prima volta una donna assumeva la carica di sindaco di un capoluogo di provincia. Non ebbe tempo di gioire per l’insediamento ufficiale che si trovò a organizzare i soccorsi per gli alluvionati del Polesine, con migliaia di profughi interni che affluivano nell’ex-Linificio di via Marconi. Più volte riconfermata sindaco, nel 1958 fu eletta senatrice con oltre 50.000 preferenze. Alla fine della legislatura, cinque anni dopo, non si ricandidò per restare vicina al marito gravemente ammalato. Dopo la sua scomparsa, si trasferì a Milano ad assistere la madre, ma non smise di impegnarsi, specie con la numerosa colonia ferrarese che popolava Sesto San Giovanni, allora una delle capitali industriali d’Italia e roccaforte operaia. Morì il 31 dicembre 1979 a Rapallo, ove si era spostata da qualche tempo con la madre: nello stesso anno si era recata a portare solidarietà alla Cuba rivoluzionaria e ne era tornata entusiasta. 

La dedizione al prossimo, evidente nella curvatura finale della sua biografia privata, fu anche la cifra della sua azione politica: fondazione delle scuole materne, delle farmacie pubbliche e della centrale del latte; potenziamento dell’edilizia e della refezione scolastica; sviluppo dell’assistenza medica per l’infanzia e degli impianti sportivi; sostegno alle famiglie disagiate e politiche per case pubbliche in risposta alla devastante crisi degli alloggi postbellica e al proliferare di occupazioni di “tuguri” inabitabili. Tuttavia occorre guardarsi dall’intrappolare Luisa nello stereotipo di genere, fuorviante anche quando benevolo, delle donne votate alla cura perché alla cura vocate. Molti interventi nascevano dall’eccezionale attivismo dell’Udi, che sin dal 1945 aveva organizzato iniziative autogestite, per “sostituire la carità che umilia con la solidarietà che educa e affratella” (così Luisa in un articolo del 1949): la consapevolezza di doverle tradurre in servizi pubblici si accompagnava all’idea di sottoporli a costante controllo organizzato dal basso. 

Le politiche sociali furono solo uno degli aspetti dell’attività dell’assessora e poi sindaca Balboni. Fu attentissima alla cultura, con restauri ai monumenti danneggiati dalla guerra, l’avvio della ristrutturazione del teatro comunale e una serie impressionante di iniziative (mostre, convegni, celebrazioni di Copernico, Tasso, Frescobaldi e altri). Anche a lei si deve la rivalutazione rossettiana, con il coinvolgimento di Bruno Zevi. Le toccò gestire i piani di ricostruzione e il piano regolatore generale (incluse le poi discusse operazioni di San Romano e del Palazzo della Ragione). Sul versante finanziario, negli anni del suo mandato si operò una riforma del fisco locale e si raggiunse il pareggio di bilancio, nonostante le difficoltà opposte dallo Stato, per via dei governi a guida democristiana, a concedere mutui. 

Non nascose mai le sue origini borghesi, nemmeno nella dizione, nella postura e nel vestiario, né mai ostentò il livello culturale della professoressa, due elementi che pure nutrivano il suo approccio al femminismo, per un’emancipazione non meramente subordinata a una politica di giustizia sociale: fu la prima a festeggiare l’8 marzo dai banchi del consiglio comunale, nel 1950, e si trovava a suo agio fra le braccianti e i braccianti della Bassa, nel cui nome combatterà molte battaglie. Capitò persino che venisse convocata dal prefetto con l’accusa di favoreggiamento della prostituzione perché aveva invitato le braccianti in sciopero a discutere con i carabinieri, inviati da Scelba a proteggere i crumiri e reprimere il grande sciopero del 1954.  

Si è scritto del rischio di fare dell’affascinante pioniera un mito o un simbolo. Lo si può controllare calando l’operato di Luisa Balboni nel contesto del suo tempo. Le sue realizzazioni, ancor più straordinarie se misurate con il metro dell’oggi, non furono intuizioni personali: furono il prodotto di un’intensa azione collettiva, del Partito comunista e dei suoi alleati, ma non nacquero solo dall’elaborazione politica di dirigenti e quadri, di tecnici e intellettuali, bensì incarnarono conquiste di popolo, esito di decenni di conflitti e movimenti delle classi subalterne rurali e urbane di Ferrara. In questo senso, anche le peculiari curvature e le priorità impresse da Balboni all’operato della giunta municipale si leggono meglio interpretandole alla luce del protagonismo delle donne. Basti pensare alle lotte contro la sperequazione salariale e per il diritto alla maternità delle braccianti, che erano più della metà della forza-lavoro ferrarese, in un contesto ove la politica delle donne godeva di un radicamento di massa (l’Udi superò le 40.000 iscritte nel 1951). Non vanno omesse le difficoltà nei rapporti con le organizzazioni del movimento operaio e i conflitti quotidiani con i compagni maschi: limiti della sinistra di allora, che permangono spesso tuttora, ma che non impedirono la scelta rivoluzionaria di insediare un sindaco donna in una grande e importante città italiana a pochi anni dalla caduta definitiva del fascismo. 

Da allora Ferrara non ha più avuto una sindachessa: dopo quasi settant’anni si potrebbe ripetere l’esperienza, la prima volta non è andata affatto male. Si potrebbero cogliere spunti ancora utili dall’azione di Luisa Balboni, come ad esempio municipalizzare la raccolta rifiuti, dotare le scuole di vere mense scolastiche e tenere aperte le biblioteche anche il sabato pomeriggio e la domenica… 

 

Per saperne di più

Una donna ritrovata. Sulle tracce di una sindachessa, a cura di Delfina Tromboni e Liviana Zagagnoni, Ferrara, Spazio Libri 1992

Le donne e il Partito comunista: storia di Luisa Balboni, documentario, 2021 link

Una donna ritrovata, docufilm di Ylenia Politano, 2020 link

Daniele Lugli, Luisa Gallotti Balboni, a Ferrara la prima sindaca d’Italia [2016], “Periscopionline”, 9 gennaio 2024 link