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La Comune di Ferrara | Femminile, Plurale, Partecipata

Inviato il:

6 Luglio 2025
Periscopio
https://www.periscopionline.it/quella-cosa-chiamata-citta-ferrara-citta-parco-o-citta-merce-da-vasco-rossi-al-central-bosc-304712.html

Romeo Farinella

Quella cosa chiamata città. Ferrara città parco o città merce? Da Vasco Rossi al Central Bosc

La settimana scorsa è stata caratterizzata da grandi annunci per il futuro della città. Si è andato dalla diffusione dei due concerti di Vasco Rossinel parco urbano, alla presentazione pubblica del “Central Bosc”. Quindi da un lato si annuncia un nuovo parco urbano dalla forte valenza eco-ambientale, a est, dall’altro si reitera, a nord, con ben due eventi programmati per 100.000 persone, la distruzione del parco urbano esistente, compromettendone il suo ruolo culturale, ambientale e paesaggistico.

Sarebbe stato interessante se l’assessore Balboni avesse dichiarato, presentando il “Central Bosc”, che con questa realizzazione si avvia un percorso che ci porterà alla redazione di un Piano del verde, perché siamo fermamente convinti che solo una visione d’insieme dia senso ai singoli interventi e ci permette di misurarne la complessità, integrandoci con il piano della mobilità sostenibile e con tanto altro: ma non l’ha detto.

Del resto, si sa che la natura ha una grande propensione alla colonizzazione (o ricolonizzazione). Quando alcune aree, un tempo costruite e gestite dall’uomo, vengono abbandonate la natura se ne riappropria. Sta capitando anche per le mura ferraresi che da mura possenti, che con il loro colore contrastano il verde dei filari alberati, in lunghi tratti appaiono ricoperte da erbe rampicanti che le nascondono e le corrodono.

Percorrere il vallo delle mura oggi sembra di attraversare un enorme rudere, di ruskiniana memoria, dove il manufatto difensivo appare, in molti tratti, completamente avvolto dalla vegetazione, rafforzando l’idea di abbandono più che di gestione oculata di un bene patrimoniale (le mura) e paesaggistico (il vallo). Vale la pena di ricordare che nel settembre 2020 il sindaco e la sua giunta annunciarono alla città il progetto “1 km di mura all’anno”.

In questi anni Ferrara ha ospitato numerosi dibattiti sull’importanza del verde urbano nelle sue varie forme, si è parlato spesso dell’idea di Ferrara città-parco, si è messo in rilievo il fatto che non vi sia un piano del verde, in grado di coordinare i diversi interventi e le politiche necessarie per valorizzare l’idea di una città-paesaggio incentrata sull’equilibrio che si potrebbe stabile tra aree costruite, campagna e spazi verdi o da rinaturalizzare.

Si sono criticati, giustamente, interventi venduti come azioni di contrasto alle isole di calore, ma che in realtà non lo sono, essendo in gran parte aree pavimentate, come nel caso di Cortevecchia o peggio ancora, nell’intervento urbanisticamente insensato della piazza dei Rampari di San Paolo, a servizio di niente, essendo una superficie lastricata con alberi allineati e strisce di erba secca, a fianco di un parcheggio e senza locali in grado usare la distesa. Tanto valeva fare un “boschetto” associando alberi, arbusti e prato e non una pavimentazione minerale.

Il “Central bosc” è certamente una proposta interessante, emersa da anni, da quando Ferrara era ancora governata da un’altra giunta, in tesi di laurea sulla rigenerazione del settore est della città, così come della darsena, vedremo se e come verrà realizzato.

In realtà, perché una città sia definibile “parco” non è importante concentrarsi solo sulla realizzazione di singoli progetti ma prima di tutto va focalizzata un’idea di insieme, di complessità, in grado di conferirle questo carattere. Insomma, un sistema interagente di spazi non costruiti di varia “natura” (parchi, giardini, viali alberati, aree abbandonate rinaturalizzate, piazze giardino, spazi infrastrutturali rinverditi, valorizzazione e rafforzamento del verde collettivo residenziale e condominiale ecc.), tenuto insieme da una trama verde che si pone anche come servizio ecosistemico di scala urbana e periurbana: questo significa “città-parco”.

Si possono citare tanti esempi reali a noi vicini (Vienna, Lubiana, Friburgo, ecc.) dove il verde supera il 50% dell’area urbana (noi siamo al 30-35%), articolato in giardini, aree forestali periurbane, corridoi verdi ed ecologici tra le case, verde stradale, microgiardini nelle aree più densamente urbanizzate, per contrastare le isole di calore. Inoltre, dall’esperienza di queste città emerge con forza la capacità di gestire questa complessità ambientale, vegetale e patrimoniale, perché le politiche da tempo sono orientate alla riorganizzazione ecosistemica delle aree urbane e questo processo non va solo concepito ma anche gestito.

Si investe sui servizi tecnici per la gestione del verde urbano e la pulizia della città (dunque lavoro specializzato), vengono inoltre promossi orti comunitari di quartiere, progetti educativi nelle scuole. Nel pieno centro di Parigi una delle corti della sede del prestigioso istituto universitario Science Po, è stato trasformato in jardin partagé: un orto collaborativo gestito da studenti, docenti e personale.

Adesso partiranno a Ferrara i restauri del polo universitario storico di via Savonarola, speriamo che emerga una riflessione sulla rigenerazione anche dei giardini e spazi di quel settore integrate alla mobilità sostenibile per renderli di uso pubblico.

In questi mesi, nelle strade della capitale francese numerosi manifesti ricordano continuamente che il comune assume giardinieri per la gestione del verde della città. Una politica del verde non si limita solo al piantare alberi, questo va anche gestito, governato.

Da questo punto di vista (non l’unico) Ferrara sembra essere diventata una “Allegoria del cattivo governo” del verde e non solo per la gestione delle mura, ma in Corso Isonzo i platani ormai entrano nelle finestre degli appartamenti, il verde stradale ha lasciato il posto a superfici rinsecchite, quando si svolgono eventi come festival o mercati nei parchi della città o in darsena abbiamo visto i mezzi meccanici degli espositori stazionare sui prati e non nelle superfici lastricate, anche nel caso delle fiere florovivaistiche a Parco Massari.

Inoltre, gli interventi e le “migliorie” delle strade non sembrano orientati alla captazione delle acque piovane attraverso il verde stradale. Da decenni in molte città europee vengono applicate tecniche di gestione sostenibile delle acque meteoriche, utilizzando aree verdi lungo le strade o nelle rotonde per filtrare e trattenere l’acqua piovana, consentendo il deflusso nelle aree verdi e non nelle superfici asfaltate, anche attraverso il disegno dei cordoli, riducendo così il carico sull’infrastruttura di drenaggio e le dispersioni dell’acqua.

Nel bilancio di previsione di quest’anno non ci sono soldi per la manutenzione ordinaria e straordinaria del verde, i fondi del PNRR questi temi nemmeno li hanno sfiorati, abbiamo però destinato 8 milioni di denari pubblici per rinnovare l’aviosuperficie, a vantaggio di una esigua minoranza di cittadini.

Sono in attesa che qualcuno mi spieghi la relazione tra la riqualificazione pubblica di un’aviosuperficie (di fatto privata), la resilienza, la transizione ecologica e gli obiettivi della Missione 5: Inclusione e Coesione del PNRR. Se governare significa anche stabilire delle priorità il messaggio è chiaro.

In questi giorni è stato annunciato che grazie alla Nestlé pianteremo 200 alberi (500 in tre anni) e il dove lo decideranno i cittadini: ben 10 mila euro che equivalgono al costo del rifacimento di un bagno di media grandezza. Anche le monetine della Nestlé vanno bene (prendiamo tutto), ma se collocati dentro una strategia, dentro una visione coincidente con un piano del verde, che è ciò che manca.

Tralasciando il verde, credo che il degrado della città sia evidente in tanti indicatori, ne cito solo alcuni. La città è sotto la morsa inquinante di un parco auto vecchio e il PUMS (Piano urbano della mobilità sostenibile) non viene attuato, la pavimentazione di Via Garibaldi sta cedendo sotto il passaggio quotidiano di furgoni, corrieri, auto, taxi. Questi ultimi non possono raggiungere Piazza Sacrati e le aree del centro percorrendo Viale Cavour e idem i corrieri, anziché Via Garibaldi? Tutte le mattine molti furgoni attraversano, spesso a velocità sostenuta, Via Garibaldi per andare da Corso Isonzo a Via Boccacanale di Santo Stefano, perché non entrano da Viale Cavour?

Gli assi centrali del centro storici sono ormai luoghi di conflitto tra pedoni, biciclette, rider che zigzagano tra le persone, furgoni, auto e ognuno ritiene di avere diritto di precedenza. Molte aree verde tra cui il parco urbano sono ormai diventati dei parcheggi grazie alla politica del non controllo. Il non controllo non è una carenza dovuta a mancanza di personale o altro, è una scelta politica.  Ma la democrazia significa rivendicare la propria libertà nel rispetto delle regole o fare ciò che si vuole? Qualcuno dirà: le regole ci sono ma non vengono rispettate dai cittadini, ma il “buon governo” significa anche far rispettare queste regole con autorevolezza (e non autorità).

Altro punto dolente, qualcuno ricorderà sicuramente la città di Leonia -la città dei rifiuti- descritta da Italo Calvino, Ferrara è sulla buona strada per eguagliarla, basta fare un giro per isole ecologiche da Corso Isonzo a Piazzetta Tasso e tante altre (la lista potrebbe essere lunga, per rendersi conto delle condizioni drammatiche della raccolta dei rifiuti in città.

Che ne dice il direttore di Hera che gira l’Italia nei festival green a parlare di città futura, di questo fallimentare sistema di raccolta dei rifiuti? Non interessano soli i dati sulla quantità di riciclo urbano (che andrebbero verificati), ma una valutazione su quello che si vede girando in città, con rifiuti umidi e solidi ammassati attorno ai cassonetti, oggetti abbandonati, strade lerce che nessuno pulisce con metodo e regolarità. Un tempo da noi gli spazzini pulivano tutti i giorni le strade, in molte città europee si continua a farlo ancora oggi.

Infine, gli eventi. I concerti annunciati di Vasco Rossi così come il Ferrara Summer Festival in piazza Ariostea sono figli di una logica “estrattiva” che considera la città come una merce da spremere senza porsi problemi per i disagi arrecati ai cittadini. La “città-merce” è quella che trasforma lo spazio urbano in valore economico, attraverso la rendita fondiaria, gli investimenti immobiliari speculativi, l’attrattività generatrice di overturism, ecc.

Di solito vengono favoriti investitori privati mentre l’uso della città è subordinato alla loro capacità di acquisto e azione e viene ridimensionato il diritto per tutti alla città. I grandi eventi si collocano in questa prospettiva, in particolare quando vengono imposti senza un reale confronto con le varie istanze socioeconomiche e culturali di una città, compresi i suoi cittadini.

Si tratta di un fenomeno che spesso è associato alla gentrificazione, al branding o marketing urbano, alla privatizzazione dello spazio pubblico. Autori come Henri LefebvreDavid Harvey o Sharon Zukin hanno approfondito questi aspetti legati alla produzione capitalistica dello spazio urbano, alle estetiche e politiche urbane neoliberiste che vedono spesso le amministrazioni pubbliche svolgere un ruolo ancillare rispetto alle società finanziarie, imprenditoriali o alle agenzie portatrici di specifici interessi economici come quelle che gestiscono i grandi eventi.

L’idea di “città-merce” è legata ad una pratica di governo orientata al “comando” e si sa che nella cultura maschile, votata al comando, la “dimensione” è sempre stata più importante della “prestazione” (qualitativa e ricca di sfumature) ma le pratiche di governo richiederebbero una maggiore complessità di visione.

Il tour di Vasco Rossi si svolge in gran parte in stadi: perché non a Ferrara visto che abbiamo uno stadio di serie A senza squadra? E l’aeroporto, visto i soldi pubblici che spenderemo, non lo potremmo utilizzare anche per questo evento? Certo che si potrebbe, ma il potere che comanda ha bisogno di rivendicare continuamente la sua autorità e lo fa anche distruggendo i simboli che non gli appartengono e che ritiene antagonisti.

la cultura che ha espresso il parco urbano Giorgio Bassani non appartiene a questa amministrazione. Quindi la “città merce” si basa su rapporti di potere selettivi che uniscono chi governa e chi è portatore di interessi forti, i cittadini sono esclusi dal tavolo. A loro si raccontano favole green e identitarie; finché la maggioranza dei cittadini ci crede e li vota il potere autoritario si perpetua.


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