Nel mese di luglio 2025 il comune di Ferrara ha aperto una procedura di co-programmazione rivolta agli enti di terzo settore nell’ambito dei piani di zona, ovvero strumenti di programmazione dell’Ente locale introdotti dalla legge 328/2000 al fine di integrare e coordinare le politiche sociali, mettendo in rete le risorse di diversi attori.
In particolare, un procedimento di co-programmazione è funzionale per evidenziare i bisogni delle persone in condizione di vulnerabilità, rilevate dai diversi osservatori e per definire insieme gli ambiti prioritari sui quali concentrare strategie e politiche sociali, condividendo le risorse possedute per poter dare risposta ai quei bisogni.
Successivamente a questa prima fase, si può poi avviare un secondo momento di vera e propria co-progettazione nella quale pubblico e privato sociale, grazie alla lettura del contesto derivante dal primo procedimento, possono coordinare congiuntamente dei progetti che siano da un lato efficaci nel favorire il benessere sociale e dall’altro che garantiscano un uso intelligente delle
risorse e del denaro pubblico, evitando sprechi. Infatti, questi strumenti dovrebbero essere la normale forma del dialogo e della collaborazione tra amministrazione e terzo settore e non qualcosa di facoltativo ad appannaggio di alcuni, come ben sottolinea la sentenza della corte costituzionale 131/2020, evidenziando il legame diretto con l’attuazione del principio di sussidiarietà.
In estrema sintesi questo è il percorso ideale immaginato dai legislatori ma, come spesso accadde, la realtà e la libera interpretazione aprono la strada a diverse prassi piò o meno “fantasiose”.
Questo accade perché alla base di questi strumenti vi è la logica che sottende al concetto stesso di partecipazione, ovvero una chiara volontà politica ed un fine rivolto al benessere sociale.
Volontarie, volontari, operatori sociali, associazioni e cooperative, con il loro patrimonio di conoscenze, esperienze e saperi, sono alla pari di un’amministrazione comunale e meritano di essere ascoltati come soggetti attivi nella pianificazione delle politiche? O sono piuttosto strumenti passivi da utilizzare in ottica strumentale per colmare le lacune di un welfare sempre più
malconcio?
Ed ora, dopo questa premessa, viene naturale riflettere ed interrogarsi sul caso specifico del comune di Ferrara.
Per poter partecipare al procedimento, è stato necessario compilare un google form strutturato come un formulario di progetto con azioni, obiettivi e costo e, già qui, in un dialogo immaginario con un ipotetico interlocutore, quest’ultimo sobbalzerebbe chiedendo: “Progetto? Ma come progetto? E tutta quella parte sull’analisi dei bisogni e sul confronto e condivisione?
Ma procediamo nel nostro racconto. Con il beneficio del dubbio, si poteva ipotizzare che fosse solo un modo preliminare affinché il comune raccogliesse elementi conoscitivi sui partecipanti al procedimento, che è stato immaginato con lo svolgimento di un programma online di una giornata, per la durata totale di quattro ore: un’ora di plenaria con l’analisi del contesto, ed un’ora per i rispettivi tavoli suddivisi per macro ambiti (minori, disabilità e grave emarginazione adulta/povertà).
Purtroppo, il google form strutturato come formulario, ha creato confusione, portando molti dei partecipanti a poter selezionare un solo ambito di intervento, avendo un solo progetto da presentare e non tre e, la conseguenza, è stata una mail contenente il link relativo per la partecipazione in plenaria e al solo tavolo dell’ambito indicato.
“Scusa, come mai questa scelta? E se una persona è in condizione di fragilità socio economica non può avere figli minori e/o disabilità in famiglia? Un disabile non può essere minore e avere un genitore in difficoltà economica perché ha perso il lavoro?” Queste domande legittime, poste sempre dal nostro interlocutore immaginario, dovremmo girarle all’assessora Coletti per conoscere la ratio di tale scelta perché, ahimè, noi non siamo in grado di immaginare una possibile risposta dal momento che crediamo che le persone non siano categorizzabili superficialmente con delle etichette e che le politiche vadano sempre più integrate anziché separate.
Ma è solo entrando nel vivo della giornata che si è percepita la chiara intenzione politica di non favorire la partecipazione e di ridurre il tutto ad una farsa.
La fase di analisi del contesto in plenaria, infatti, non è servita all’ascolto dei volontari e degli operatori (come alcuni ingenuamente immaginavano) ma alla proiezione di alcuni dati esposti, ricavati dall’indagine istat e dei fondi disponibili, evidenziandone i tagli. I dati, inoltre, si sono mostrati lacunosi.
Quante persone e famiglie, ad oggi, sono in carico ad Asp? Quanti disabili sono seguiti in percorsi sanitari dell’azienda Ausl? Quanti sono gli adulti in situazione di grave emarginazione che dormono e vivono nelle piazze e negli stabilimenti abbandonati nel nostro
comune? Qual è la percentuale di minori a rischio devianza sul nostro territorio? Queste sono solo alcune delle domande che potrebbero guidare un’indagine ed un’analisi dei dati che porterebbe ad una lettura più accurata e precisa del contesto.
Anche le tre riunioni sui singoli tavoli non si sono svolte in modo differente nella sostanza.
Nell’ora ipotizzata, infatti, le diverse associazioni e cooperative hanno sinteticamente esposto il progetto presentato senza che vi fosse una facilitazione in grado di evidenziare punti di contatto, possibili collaborazioni e sinergie, nonostante la richiesta sia emersa in modo esplicito. Numerosi partecipanti, infatti, hanno proposto di iniziare dei percorsi, coordinati dal comune, che favoriscano
conoscenza, condivisione e riflessione al fine di poter creare davvero una rete del terzo settore riconosciuta per la propria competenza e per i molteplici ruoli fondamentali che svolge: da quelli più evidenti di affiancamento e sostegno della popolazione più vulnerabile, a quelli più sottili (ma di certo non meno importanti) di tenuta e rafforzamento della coesione sociale e di costruzione di una
cultura della solidarietà che veicoli valori essenziali per la nostra società. Queste richieste, però, sono rimaste inascoltate e sono state liquidate con poche parole chiudendo, di fatto, al dialogo ed alla possibilità di recepire ed attuare dei percorsi di partecipazione e lasciando, così, trasparire la reale visione politica dell’amministrazione.
La conferma di questo, infatti, è arrivata a fine agosto quando è stata inviata ai partecipanti una mail contente l’esito del percorso di co-programmazione. Ovvero una semplice tabella contente il nome dell’ente, l’ambito individuato, il nome del progetto e, se concesso, il contributo che il Comune darà a tale progetto. Niente report, criteri dettagliati, motivazioni, priorità d’intervento,
linee programmatiche.
Assessora Coletti, è questa l’idea di partecipazione che lei e i suoi colleghi avete in mente? Non sarebbe più onesto chiamare con altri nomi momenti come questo, anziché ridurre la co-programmazione a mera etichetta svuotata del proprio significato? Può assumersi la responsabilità politica di dare delle risposte chiare alle richieste dei volontari e degli operatori sociali che lavorano
quotidianamente per il benessere della collettività che lei rappresenta?
Gli attivisti de La Comune di Ferrara credono fortemente nel valore e nella promozione della partecipazione e, per questo motivo, non possiamo che esigere una chiara presa di posizione politica. Vogliamo davvero iniziare a fare partecipazione, accogliendo le richieste della società civile e del terzo settore? Altrimenti si abbia il coraggio di rispondere di no, assumendosene la responsabilità politica. Sarebbe sicuramente una dimostrazione di rispetto e di onestà intellettuale.
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