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Giuliana Andreatti
VIAGGIO DI CONOSCENZA E SOLIDARIETA’ IN PALESTINA 11-21 settembre 2025
A seguito dell’intensa esperienza vissuta, grazie al viaggio proposto dall’associazione Assopace Palestina, organizzato e condotto dalla presidente Luisa Morgantini, già euro parlamentare Prc, e vice presidente del Parlamento europeo, attivista e fondatrice delle Donne in nero contro la guerra che ringrazio infinitamente, voglio condividere alcune impressioni che mi hanno colpita particolarmente e di seguito considerare anche l’importanza delle azioni che dovremo mettere in atto a livello locale come cittadine e cittadini e come amministrazione per contribuire al riconoscimento dello Stato Palestinese e il diritto all’autodeterminazione del suo popolo, a fermare la connivenza e complicità del nostro Governo con la politica genocida israeliana e rivendicare il rispetto del diritto internazionale.
Il viaggio, inizialmente programmato per fine maggio di quest’anno era stato sospeso qualche settimana prima della partenza, la compagnia italiana ITA aveva cancellato i voli per i mesi a venire, non c’erano altre compagnie se non quelle israeliane che volavano su Tel Aviv. Solo l’11 settembre è stato possibile partire con un volo della compagnia Royal Jordanian atterrando ad Amman in Giordania. Lì, abbiamo attraversato il valico sul ponte di Allenby che è, anzi era, l’unico passaggio concesso anche ai palestinesi per uscire dalla Palestina e farne rientro via terra. Attualmente, dal 24 settembre a tempo indeterminato, l’attraversamento del Ponte di Allenby è limitato o impossibile per i palestinesi a causa della chiusura da parte di Israele. Già prima della chiusura, il valico era aperto in base a particolari orari, e i palestinesi dovevano rispettare specifiche procedure e requisiti di sicurezza per attraversare da e verso la Giordania, spesso soggetti a restrizioni e lunghi controlli. Peccato che questa pratica di blocco del passaggio di qualsiasi mezzo fosse già stato messa in atto diversi giorni prima, in seguito ad un attentato avvenuto il 18 settembre in cui erano stati uccisi due soldati israeliani da parte di un giordano, autista di un camion di aiuti umanitari.
La mancanza di informazioni chiare e trasparenti ha costretto anche il pullman su cui viaggiavo insieme alle altre 40 persone del gruppo a trovarci bloccati, senza comprendere la motivazione e la durata del fermo, sotto il sole, nel deserto, in una fila chilometrica fra pullman, auto e camion, al valico il 21 settembre, giorno programmato per lasciare la Cisgiordania e recarci all’ aeroporto di Amman per il rientro in Italia. Era l’alba, ma ben decisi ad arrivare presto al confine per affrontare i lunghi controlli. Dopo il viaggio da Beit Sahour a est di Betlemme dove alloggiavamo e circa tre ore di attesa e dopo aver contattato un diplomatico, abbiamo dovuto cambiare programma, percorrere velocemente più di duecento chilometri lungo la Valle del Giordano per recarci oltre l’ altro valico, il Sheikh Hussein Bridge piu a nord , con conseguente lunga fila, tempi biblici di attesa per i controlli, per il cambio di pullman, recupero bagagli ecc…ecc…. finché abbiamo perso il volo di ritorno..
Ma noi, occidentali, col nostro bel passaporto in mano e disponibilità economiche anche se non eccessive, potevamo comunque permetterci di pernottare in un comodo albergo e cercare un altro volo nei giorni seguenti. I palestinesi: No! Loro, in casi come questi, sono costretti a rinunciare ai loro spostamenti: la loro vita è fatta di attese e speranze, rinunce e umiliazioni e non solo.
Da quasi 40 anni, l’instancabile “Pasionaria“ Luisa Morgantini accompagna persone attiviste, politici, giornaliste e giornalisti a conoscere la dura realtà e l’orgoglio del popolo palestinese.
Negli ultimi due anni Assopace aveva dovuto rinunciare ai consueti ripetuti viaggi, prima, a causa del Covid e poi, dalla tragedia del 7 ottobre, pagata così duramente dal popolo palestinese e dalle vittime israeliane. Questa drammatica e sporca vicenda ha scosso le coscienze di tanti e, anche se con ritardo, ha portato sempre più persone a unirsi a chi già da anni segue la questione palestinese, contrastando il complice e assordante silenzio dell’Occidente sul genocidio a Gaza…. e lo spietato e illegale piano coloniale finalizzato a espellere i palestinesi dalla loro terra e occuparla per realizzare la Grande Israele, con un accanimento sistematico e violento perpetuato da più di 70 anni.
Colpisce vedere, durante i nostri spostamenti in Cisgiordania in pullman, vasti appezzamenti di terre e distese di percorso stradale segnalato come proprietà israeliana con centinaia e centinaia bandiere israeliane sventolanti fra i colori del deserto e la luce abbagliante di questi luoghi, fra pochi alberi e insediamenti dei coloni che sovrastano le cime delle colline. 
Un avamposto di coloni con i container che usano per occupare velocemente la postazione, a ridosso del villaggio, e la nuova strada che li raggiunge. Foto di Anna Rotolo
Gli avamposti degli insediamenti israeliani appaiono in alture strategiche per il controllo delle valli e strade sottostanti. Inizialmente sotto forma di container o case prefabbricate, che diventano sempre più numerose in breve tempo, poi arrivano le ruspe e i caterpillar e l’autorizzazione del governo israeliano a costruire ( sul territorio palestinese): ed ecco case, luoghi di culto, scuole, negozi, servizi e strade, anche di grande comunicazione, che ovviamente sono vietate ai palestinesi con cartelli intimidatori.
Dopo il 7 ottobre ai coloni sono state distribuite armi e divise militari e le incursioni nei villaggi gli attacchi a contadini e pastori e alle loro greggi sono diventate quotidiani, mentre i soldati proteggono le loro incursioni e arrestano palestinesi. Il disegno strategico è cacciare i palestinesi dalle terre coltivate ed impadronirsene; nei piccoli villaggi circondati da colonie al nord al sud della Cisgiordania e nella valle del Giordano le popolazioni hanno abbandonato terra e case per sfuggire alle pressioni e minacce di morte dei coloni; in altri villaggi i coloni hanno distribuito volantini agli abitanti intimando loro di andarsene altrimenti gli avrebbero fatto fare la fine di Gaza. Per il diritto internazionale gli insediamenti israeliani nei territori occupati sono illegali, in alcuni casi lo sono anche per il diritto israeliano, ma per il governo é più importante impossessarsi delle terra e cacciare con la violenza i beduini che vivono quelle terre, le loro terre da due o tre generazioni. Le incursioni anche notturne sono frequenti e le azioni di esproprio anche non vengono fatte in forma pacifica ma con minacce e atti violenti di coloni armati, di cui si conoscono volti e nomi, che invadono con prepotenza le case, sfondando porte e finestre, terrorizzando donne, bambini,uomini, minacciando di fare arrivare l’esercito se i palestinesi mostrano un minimo di resistenza.
LA RESISTENZA DEI PALESTINESI.
In Cisgiordania, nelle colline a sud di Hebron, si trova Al-Tuwani, un villaggio palestinese abitato prevalentemente da pastori e agricoltori. La zona si trova in area “C”, termine che secondo gli Accordi di Oslo del 1993, designa il controllo sia militare che civile/amministrativo da parte di Israele. Il villaggio, caratterizzato da un paesaggio arido, é soggetto a divieti di costruzioni di case e di coltivazione delle terre allo scopo di allontanare gli abitanti locali. A pochi passi invece si estende una vegetazione rigogliosa: si tratta dell’insediamento di Ma’on e dell’avamposto di Avat Ma’on, aree abitate da coloni israeliani, il primo è considerato illegale dal diritto internazionale delle Nazioni Unite ma legale per il diritto israeliano, il secondo è illegale per entrambi.
Nel 1999, il territorio di Sarura, di cui fa parte Atwani, è stato oggetto di una evacuazione forzata per dare spazio ad un’area adibita ad addestramento militare. Questo però non ha fermato la popolazione locale dal volersi, giustamente, organizzare per portare uomini , donne e bambini per far fronte all’ occupazione attraverso forme non violente. Nel 2017 un gruppo di giovani, ragazze e ragazzi, fonda il Sumud Freedom Camp, un progetto di resistenza non violenta all’occupazione israeliana. Dalla forza d’animo dei padri e delle madri che vivono in questo territorio, da anni parte del Comitato di Resistenza Popolare, nasce il gruppo Youth of Sumud (YOS) emblema della resistenza non violenta a Surura. Oltre a incontri e manifestazioni con altri attivisti anche internazionali, scortano i bambini a scuola e i pastori a pascolare i loro greggi e oltre a tante attività, coltivano e educano la popolazione a resistere agli attacchi dei coloni senza usare la violenza.
Abbiamo avuto la meravigliosa occasione di conoscere questa comunità e di incontrare uno dei fondatori di questo movimento, Hafez Uraini, con la sua famiglia.
E proprio nella zona di 12 villaggi che formano la zona di Massafer Yatta, la comunità di villaggi circondata da insediamenti dove è stato girato No Other Land, abbiamo avuto modo, nostro malgrado, di provare un incontro con coloni e esercito israeliano. Eravamo a casa del fratello di Awadah Hhataleen, il collaboratore del film premio Oscar, ucciso a luglio a sangue freddo dal colono Yinon Levy. Nonostante ci fossero immagini e testimoni gli israeliani hanno lasciato libero l’assassino e arrestato invece una decina di uomini del villaggio e requisito per giorni il cadavere del ragazzo. Nel cortile della casa c’é un piccolo memoriale fatto di sassi con ancora tracce di sangue di Awadah. A pochi passi dietro la rete i caterpillar israeliani e la bandiera con la stella di David a giustificare, in modo orribile e macabro la nascita di un nuovo insediamento israeliano. I coloni poco lontano, non gradendo la nostra presenza, hanno circondato il nostro pullman e minacciato l’autista, é arrivata la polizia sionista e una camionetta con i sodati israeliani in assetto di guerra, ci ha bloccati, controllati i passaporti (occidentali !) fatti risalire in pullman e scortati fuori dall’area per convincerci ad allontanarci e in fretta. Per tutti noi o quasi tutti, era la prima esperienza simile, mette molto a disagio e capiamo quanto sia fragile la vita dei palestinesi in questa situazione di aparthaid, di prigione a cielo aperto, vissuta fra umiliazioni, violenza, filo spinato, cancelli che sbarrano la strada, impossibilità a spostarsi, ad andare a scuola non scortati. Questi uomini e donne sono comunque fieri e orgogliosi e sanno a che mettere in pratica atteggiamenti non violenti di fronte a coloni e militari a volte destabilizza l’ira violenta e preserva stragi nel villaggio ed è segno di resistenza vera. 
Le forze israeliane demoliscono edifici a Khirbet Khilet al-Dabe, a Masafer Yatta, in Cisgiordania, 5 maggio 2025. (Wisam Hashlamoun/Flash90)
Da dopo il 7 ottobre questi atti violenti sono aumentati. I coloni arrivano con ruspe e buldozzer, distruggono le case e le scuole tagliano i fili dell’elettricità e requisiscono l’acqua deviando le condutture, usano droni per controllare il raccolto e nel momento di maggior bisogno, per irrigare i campi, vanno a cementificare i pozzi togliendo anche la possibilità di abbeverare le loro greggi di pecore e capre, deviando anche le condutture d’acqua. Sradicano gli alberi di ulivo, requisiscono gli animali quando non li uccidono direttamente sul posto. Diventa difficile per i beduini continuare a coltivare la loro terra e allevare animali, 30 comunità contadine sono state espulse dalle loro valli e sono state costrette a spostarsi e a non coltivare più, e secondo la legge israeliana, dopo tre anni che un terreno non viene coltivato viene sequestrato dallo stato e distribuito poi ai coloni per occuparlo e iniziare a dare vita ad un nuovo insediamento. Il 70% dei datteri esportati da Israele (anche in Europa ) sono prodotti in insediamenti illegali della Valle del Giordano. Questo è uno di quei prodotti di cui nel momento dell’acquisto, dovremo controllarne la provenienza e praticarne il boicottaggio evitandone l’acquisto.
E intanto i palestinesi resistono, nonostante i soprusi, le minacce, le aggressioni violente, gli arresti di uomini donne e anche bambini, le uccisioni. A Gaza si sta compiendo vergognosamente un genocidio e in Palestina si sta compiendo un altro atto altrettanto vergognoso di pulizia etnica sotto gli sguardi dell’occidente e il menefreghismo dei suoi governanti. Un migliaio di morti ammazzati dai coloni o dall’esercito, 10.000 prigionieri di cui 3500 in detenzione amministrativa, come il sindaco di Hebron, sequestrato un mese fa senza nessuna motivazione. E fra questi 10.000 prigionieri , anche tante bambine e tanti bambini. Decine di migliaia di rifugiati sfollati dopo le distruzioni dei campi profughi, di Jenin, Nur Shams e Tulkarem effettuate tra il gennaio e inizio giugno del 2025. L’esercito militare israeliano ha dichiarato questi campi profughi, zone militari chiuse, con forze di sicurezza schierate sul posto che impediscono attivamente ai residenti di accedere alle loro case o a ciò che ne resta. L UNRWA ha descritto l’operazione “ come la più lunga e distruttiva operazione nella Cisgiordania occupata dalla seconda intifada degli anni 2000” .
Abbiamo ascoltato le testimonianze di alcuni ex prigionieri politici, testimonianze raccapriccianti per le torture psicologiche e corporali che venivano inferte a loro dai militari in luoghi che erano veri ghetti dell’orrore. Duranti i loro racconti non ci sentivamo per niente orgogliosi di essere cittadini italiani, e questo imbarazzo e vergogna ci ha accompagnato spesso.
(continua….)
Grazi Giuliana per essere andata e per questo racconto toccante.